Festival dei Diritti umani, a Torino i corridoi umanitari e l’architettura delle migrazioni

La quarta edizione della rassegna sui diritti delle persone e la democrazia ha fatto tappa nel capoluogo piemontese. Tra gli interventi, Paolo Naso e Francesco Piobbichi, rispettivamente coordinatore e operatore-disegnatore sociale di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.

Roma (NEV), 29 novembre 2019 – Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in Palombella rossa. E le parole, il loro peso, sono state uno dei temi al centro della tappa torinese del Festival dei Diritti umani che si è svolta il 28 e 29 novembre nel capoluogo piemontese. Una due giorni, per la quarta edizione della rassegna dedicata ai diritti delle persone e alla democrazia, che ha rivolto il suo sguardo al tema delle migrazioni e in particolare ai corridoi umanitari.

Mauro Berruto, amministratore delegato della Scuola Holden, già allenatore di pallavolo, introducendo il primo appuntamento del Festival, ha puntato l’attenzione sul legame tra lo sport, come linguaggio universale, e le guerre.

Francesca Mannocchi e Gianluca Costantini al Festival dei diritti umani

La giornalista Francesca Mannocchi e il disegnatore (ma prima ancora, attivista) Gianluca Costantini, autori della graphic novel ‘Libia’, hanno raccontato la situazione nel paese al centro della loro opera. “In Libia molti dicono che di Gheddafi prima ne avevano uno, ora ne hanno tanti – ha spiegato Mannocchi – . Questo ha creato un automatismo della paura, la “gramigna della paura”. Ma mentre il dittatore era un nemico chiaro o un chiaro eroe, quelli di oggi sono più dfficili da combattere”. Costantini, che si definisce attivista per i diritti umani, prima che disegnatore, ha spiegato come i suoi disegni e i suoi profili social siano censurati in Turchia e come sia considerato un terrorista dal governo di Erdogan. Tornando alla Libia, per la giornalista e scrittrice protagonista di tante inchieste, “Ci sono due linee intimamente connesse che legano il nostro Paese a Tripoli: il gasdotto e i migranti. Ma si fa di tutto per non raccontare questa connessione. L’Eni è l’unica azienda petrolifera che non ha mai smesso di lavorare nemmeno un giorno in questi anni, ed era da quella stessa zona dove opera l’Eni, una zona franca, che fino al 2017 – memorandum Gentiloni – partivano i barconi. La verità è che purtroppo – ha continuato Mannocchi – non abbiamo mai smesso di dare soldi ai criminali, le milizie sono state inglobate nell’esercito e abbiamo creato la guardia costiera libica, che prima non esisteva. Se prima l’accordo politico ed economico era sul contrasto al traffico di uomini, come dimostra il caso di Bija, ad esempio, l’accordo ricattatorio è stato raddoppiato: oggi le medesime milizie non solo sono state inglobate negli organi di stato ma noi abbiamo dato legittimazione politica alla guardia costiera che di fatto non esiste e abbiamo fatto sì che si passasse dal business del traffico di uomini al business dell’accoglienza”. Cosa fare ora dunque per invertire la rotta? “Bisogna trovare un’interlocuzione con queste milizie, certamente, ma non dandogli denaro, avviando invece un percorso di lungo termine”. E quanto a noi, all’opinione pubblica, in Europa, Libia ed Italia, serve “cominciare a non avere paura delle parole”.

Francesco Piobbichi

Con parole ma soprattutto coi suoi “disegni dalla frontiera” è poi salito sul palco della scuola Holden di Torino l’operatore di Mediterranean Hope Francesco Piobbichi, che ha raccontato le storie che l’hanno ispirato, da Segen, il giovane eritreo soccorso dalla Open Arms e morto di fame a Pozzallo, alle tante persone scomparse davanti a Lampedusa, anche negli ultimi giorni.

La frontiera, dunque, come limite fisico e simbolico che separa le vite delle persone e a volte ne definisce letteralmente la possibilità di vivere, avere dei desideri, un futuro qualsiasi.

Infografica tratta dal report “The business of building walls” del Transnational Institute

Di muri si occupa nel suo lavoro il giornalista Chicco Elia, che ha tracciato un quadro di quante siano oggi nel mondo le barriere create dall’uomo: dal muro tra Usa e Messico, il più caro di tutti, che pare costi una cifra compresa tra gli 8 e i 25 miliardi di dollari, al più piccolo, che è quello di Gaza, fino a quello che segrega il popolo saharawi, per arrivare poi al piano vecchio che separa le due Coree o a quelli che ancora si vedono a Belfast.

Di muri fisici ma non solo si occupa anche nel suo lavoro Luigi Farrauto, cartografo, che ha fatto un excursus storico sulla funzione delle mappe: ridurre la paura dell’ignoto, dare senso al mondo, raccontare paure…

L’appuntamento sui diritti umani è proseguito nella mattinata di venerdì 29 novembre al Circolo dei Lettori di Torino, con un incontro rivolto in modo particolare ai giornalisti, articolato in due sessioni: ‘Migrazioni, per un uso corretto delle parole’ il titolo della prima, ‘Muri, ponti e corridoi umanitari. L’architettura delle migrazioni’ quello della seconda e ultima parte.

Il direttore del Nev Gian Mario Gillio, l’assessore alle Politiche giovanili, multicultura e Politiche delle Famiglie della Città di Torino Marco Giusta, il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte Alberto Sinigaglia, Stefano Tallia, segretario dell’ Associazione Stampa Subalpina, la garante dei lettori de La Stampa a Torino Anna Masera con un contributo video, sono stati protagonisti del primo dibattito, coordinato da Claudio Geymonat di Riforma.

Il secondo ed ultimo dibattito, dal titolo ‘Muri, ponti e corridoi umanitari. L’architettura della migrazioni’ ha visto la partecipazione di Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI, Anna Rossomando, Daniela Sironi di Sant’Egidio, l’avvocato Asgi Lorenzo Trucco, ed è stato coordinato da Danilo De Biasio. [BB]