Perché parlare di migrazioni anche durante la pandemia.

Si è appena conclusa la tavola rotonda su cooperazione, disuguaglianze, lotta alla povertà organizzata dal Centro Studi Confronti e dalla Fondazione Rosselli. Il presidente della Fondazione, Valdo Spini: “serve una ricostruzione di ideali politici forti, senza i quali non si va avanti in Europa”.

Roma (NEV), 23 giugno 2020. – “È importante tenere alta l’attenzione su questa tema. Le migrazioni oggi devono essere viste in una nuova luce, proprio in rapporto a quello che è avvenuto in tutto il mondo in questi ultimi mesi”, ha detto così l’ex ministro socialista Valdo Spini, valdese, attuale presidente della Fondazione Rosselli, in apertura della tavola rotonda sulla cooperazione internazionale e la lotta alle povertà che si conclusa poco fa. “Il modello di riferimento per affrontarle è quello dell’impegno etico che può riguardare cristiani e non cristiani”, ha aggiunto Spini: “in questo senso quella della collaborazione ecumenica tra cattolici ed evangelici per la realizzazione dei corridoi umanitari ha assunto già da qualche anno un grande significato”.

Perché parlare di migrazioni, dunque, proprio in questo momento? Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale e che di recente ha dato alle stampe per Rizzoli il saggio: “La legge del mare” – sottotitolo “cronache dei soccorsi nel Mediterraneo” – intervenendo nel corso della tavola rotonda, ha spiegato che “proprio perché le forze politiche non sono state capaci di offrire delle soluzioni, le contraddizioni legate all’universo delle migrazioni continuano ad esplodere in tutta la loro drammaticità”. Ha detto la giornalista: “Se guardiamo ai dati del rapporto annuale Global Trends e diffusi qualche giorno fa dall’agenzia dell’Onu per i rifugiati, capiamo bene cosa ci aspetta nei prossimi anni”.

Poi, ha continuato così: “I numeri ci parlano di 80 milioni di persone nel mondo che nel 2019 sono state costrette a fuggire, i così detti migranti forzati, dai loro paesi. Il doppio rispetto a dieci anni fa”. E ancora: “Sempre le cifre diffuse dal rapporto dell’Onu ci dicono che solo una piccola parte tra queste persone, circa tre milioni, sono ritornate a casa. E che poche centinaia di migliaia, invece, sono quelle che sono riuscite ad integrarsi nei paesi di arrivo”. Per Annalisa Camilli, infine, “il quadro tracciato indica che nei paesi di arrivo si sconta l’assenza di politiche di inclusione, e nei paesi di origine delle migrazioni, che poi sono sempre gli stessi, la Libia, la regione del Sahel, l’Afghanistan, la Siria, da dove sono scappate negli ultimi anni 13 milioni di persone, un terzo del totale degli sfollati, gli effetti delle guerre continuano”.

Dunque, di fronte a questo quadro che è stato tracciato, diventa urgente mettere in campo interventi complessi, multidisciplinari, di regolarizzazione, che tengano insieme elementi di tipo economico e politico. È la strada intrapresa dalla cooperazione internazionale allo sviluppo, di cui la vice-ministra degli esteri Emanuela Del Re, intervenendo durante la tavola rotonda, ha spiegato i punti di forza della strategia italiana. In particolare: “il ruolo affidato alle diaspore, attori sociali che devono essere il ponte ideale tra paesi di origine e di arrivo, in un rapporto che è bilaterale, tra partner”. Ha poi aggiunto Del Re – incalzata dal direttore della rivista Confronti, Claudio Paravati: “proprio i corridoi umanitari europei possono rappresentare una strategia efficace di cooperazione tra persone, chiese, stato e ong per la cui realizzazione è necessario battersi”.

“Rimettere al centro l’Africa, che è cambiata rispetto a venti anni fa, tenendo presente i fenomeni che l’hanno investita: la globalizzazione, l’urbanizzazione selvaggia, ma anche la corsa all’accaparramento delle risorse, le pandemie, il terrorismo, i conflitti che si cronicizzano”, nelle parole di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Al tempo stesso, ampliando il progetto dei corridoi umanitari, “vite salvate, sì, ma a cui è stato anche garantito un futuro”, ha concluso Impagliazzo.

Gli ha fatto eco, concludendo la tavola rotonda, Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, il quale ha ribadito l’urgenza e l’importanza di continuare a discutere di migrazioni in maniera efficace “costruendo delle bussole, mappe concettuali per orientarsi nel futuro”. Ha concluso Naso: “Serve allargare in chiave europea i corridoi umanitari, realizzandoli da paesi come il Niger, da quei Paesi nei cui confronti occorre, allo stesso tempo, cooperazione e una politica di pacificazione”.  Dunque, “serve una visione di lungo corso”. E continuare a discutere di migrazioni, attraverso la “ricostruzione di ideali politici forti, senza i quali non si fa avanti”, come ha ribadito Valdo Spini.