Perchè passare l’estate a fare volontariato

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O delle volontarie e dei volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Oggi "Gli sguardi" sono due, provengono dalla Sicilia, dalla Casa delle culture di Scicli, e sono stati scritti dalle volontarie Maia del Priore e Marta De Luca.

Potreste fare qualunque altra cosa. Perché siete qui?

di Maia del Priore

Il mese scorso ho fatto volontariato a Scicli, alla Casa delle Culture. Durante un incontro con una delegazione delle Chiese Presbiteriane Americane, mi è stato chiesto perché avevo deciso di spendere un mese delle mie vacanze estive a fare volontariato in questa struttura che accoglie richiedenti di asilo, mentre avrei potuto fare tante altre cose. Per me la risposta è chiara: “Non potrei essere da nessun’altra parte.”

La sera prima di questo incontro, avevo conosciuto una giovane donna. Lei era appena tornata da tre settimane nel Mediterraneo su una nave tedesca a salvare vite. Mi raccontò che in quei giorni lì era stata invitata, tramite l’università, ad una conferenza internazionale sulla sanità mondiale a Bangkok. A me era sembrata una bellissima opportunità. Lei non sembrava cosi convinta. Quando le chiesi perché si fece seria mi disse: “Perché in quel periodo potevo essere nel Mediterraneo su quella barchetta a salvare vite umane.” Questa risposta molto onesta mi fece pensare. Perché stavo facendo volontariato, invece di essere in giro per il mondo per le vacanze, come tanti dei miei amici in quelle stesse settimane?

Nel 2013, quando la migrazione via il Mediterraneo occupava il dibattito pubblico, avevo 11 anni. Alcuni diranno che ero giovane. Ma ero sicuramente sufficientemente umana per concepire che nel bellissimo mare Mediterraneo stava succedendo una tragedia indicibile.

Da allora andare al mare sulle spiagge del Mediterraneo non è mai più stata la stessa cosa. Mentre guardo l’orizzonte e sento le onde rompersi sugli scogli, non posso fare a meno che pensare alle vite perse, ai push back violenti e illegali e alle traumatiche esperienze di quelli che riescono invece ad attraversare il mare. Quando all’orizzonte intravedo una barca, lo sguardo mi si gela. Questa barca avrà accesso ad un porto? Come verranno ricevuti i passeggeri? Avranno una casa dove tornare la sera? Cibo a sufficienza per il resto del mese? Verranno rispettati i loro diritti umani? O per meglio dire…saranno considerati esseri umani?

Sogno di un mondo dove queste domande non hanno più ragione di esistere. Sogno di un mondo dove il Mediterraneo è ricordato come il cimitero a cielo aperto che è al momento ma non rappresenterà più una minaccia per le vite umane. Sogno di un mondo dove origine e colore di pelle non qualificano un essere umano. Sogno di un mondo dove i diritti umani sono rispettati e protetti.

Anche se possono sembrare basilari, sono cosciente che questi sono grandi sogni per una giovane donna. Questo mese non potevo fare nessun’altra cosa perché qualunque altra cosa non avrebbe contribuito a costruire un mondo migliore. Se noi giovani siamo il futuro della nostra società, come ci è ricordato spesso, dobbiamo iniziare ad agire ora, finché siamo in tempo.

Fare volontariato alla Casa delle Culture è stato un modo, quest’estate, di contribuire ad un progetto nel quale credo, che costituisce, spero, un piccolo tassello nella strada che porterà ad un mondo migliore.

[English version] You could do anything else. Why are you here?

di Maia Del Priore

Last month I stayed in Scicli, at the Casa delle Culture, the House of Cultures. During a meeting with a delegation from the American Presbyterian Churches, I was asked why I would spend a month of my summer holidays volunteering in this facility welcoming asylum seekers, while I could do anything else. For me the answer was straightforward. “I don’t think I could be anywhere else.”

The night before, I had met a young woman who had just landed from three weeks in the Mediterranean Sea to save lives. She told me that during those days, in the context of her studies she had been invited to an international conference on global health in Bangkok. I thought it would be an amazing experience and opportunity. But she was not convinced. When I asked why she became serious and said: “Because I could be rescuing people in the Mediterranean Sea”. That’s when I asked my self “Indeed, why am I here and not in an exotic place for summer holidays as many of my friends?”

In 2013, when migration through the Mediterranean route was on everyone’s mouth, I was 11. Some will say I was young, but I was surely human enough to understand the tragedy that was happening on the Mediterranean coasts.

Since then, going to the Sea on the Mediterranean beaches has not been the same. Although looking at the horizon, hearing the waves breaking on the rocks is relaxing, I cannot help thinking about the lost lives, the violent push backs, and the traumatic experiences of those who succeed the crossing. Whenever I see a boat on the horizon line, I wonder who the passengers are. Will the boat have access to a port? How will they be received once they land? Do they have homes? Sufficient food for the rest of the month? Will their human rights be respected? Will they even be treated as humans?

I dream of a world where these questions need not be. I dream of a world where the Mediterranean Sea is remembered as the open-air cemetery that currently is but does not constitute a threat to human lives anymore. I dream of a world where the origins and the colour of the skin do not qualify humans. I dream of a world where human rights are protected. Although this sounds basic, they are big dreams for a young woman. I could not do anything else because anything else would not contribute to building a better world. And if we, as young people, are really the future of our society, then we need to start acting now, before our time is over. Volunteering at the Casa delle Culture is my way of contributing to a project in which I believe, because it is a brick to the road to this better world.


L’estate migliore

di Marta De Luca

La scelta di avventurarmi in un percorso alla Casa delle Culture è frutto di un insieme di fattori che mi hanno spinta a cercare e ad intraprendere un’esperienza di volontariato. Durante lo scorso febbraio, appena conclusa la penultima sessione d’esami della triennale, alcuni amici avevano iniziato a parlare di cosa fare nei mesi di luglio e agosto. Come in tutti i gruppi di amici che si rispettino, quando si tratta di organizzare soggiorni all’estero all’insegna del divertimento le proposte non mancano mai: chi proponeva un tour negli States, chi le più canoniche Spagna e Grecia, etc. Tutte idee che incontravano il mio gusto e assicuravano relax e divertimento per le vacanze estive. Nel pianificare come organizzare il mio summer time, si è palesata nella mia mente la consapevolezza di quanto fossi fortunata nell’avere la semplice possibilità di scegliere fra più di un’accattivante alternativa su come disporre del mio tempo libero; ho improvvisamente avvertito un senso di vacuo nel trascorrere due mesi così come stavo programmando, dal momento che avrei potuto impiegarli per aiutare le tante persone che, purtroppo, non hanno questa semplice possibilità. Ho realizzato che quel tempo sarebbe stato di gran lunga ben speso se dedicato al contribuire ad un’iniziativa coinvolta nella risoluzione di una tematica così attuale ed importante come l’accoglienza dei migranti. Ad aprile ho avuto la fortuna di conoscere il progetto Mediterranean Hope ed entrare in contatto con la Federazione delle Chiese Evangeliche, sono stata accolta e mi è stata data la possibilità di realizzare e vivere il mio desiderio di condivisione.

Attualmente sono nel fulcro della mia esperienza di volontariato, ma posso già affermare che ho cominciato pensando di aiutare gli altri ritrovandomi, poi, giorno dopo giorno ad essere io a sentirmi “aiutata”, arricchita dalle mille storie e insegnamenti che ragazz* e famiglie migranti mi stanno regalando in queste settimane. Lavorare a stretto contatto con persone così ricche di speranza e sogni per il loro futuro, pronte ad impegnarsi e dare il tutto per tutto pur di riuscire a costruire la vita per la quale hanno tanto viaggiato e lottato, trasferisce una carica e una voglia di vivere appieno ogni possibilità che la vita offre indescrivibile. Spero di essere in grado, nelle ultime settimane di questa esperienza, di dare quanto sto ricevendo, consapevole che non avrei potuto trascorrere la mia estate in modo migliore.