Vivere da risorti

Il testo della rubrica "Finestra aperta" della pastora Cristina Arcidiacono, andata in onda domenica 27 agosto a "Culto evangelico" su Radio Rai Uno, dedicata all'intellettuale e scrittrice Michela Murgia, morta il 10 agosto scorso.

Roma (NEV), 29 agosto 2023 – Il testo della rubrica di Cristina Arcidiacono, andata in onda domenica 27 agosto a “Culto evangelico” su Radio Rai Uno – Ho conosciuto Michela Murgia a Cagliari, nel 2011. L’avevamo invitata come chiesa battista a presentare il suo “Ave Mary, e la chiesa inventò la donna”. Ci siamo sentite complici, in quella serata,  nel ricercare la verità nelle vite e nelle relazioni, a partire dalle Scritture, dalla Bibbia, quel libro biblioteca così legato, suo malgrado, alle storie di potere che lo hanno brandito e ancora lo brandiscono per subordinare le donne, i bambini, i poveri, e per non riconoscere le novità di vita insite nelle vite di ciascuna e di ciascuno.

“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Accosto queste parole di Gesù nel vangelo di Giovanni alla vita di Michela così come vorrei fossero accostate a quella di ciascuna e ciascuno che si mette in cammino per essere pienamente se stessa, se stesso. La verità diventa una persona, “Io sono la verità” dirà Gesù sempre in Giovanni, in tutta la sua pienezza, con il proprio corpo, con le cadute, i progetti, gli errori. E la resurrezione, la nuova vita possibile nella verità.

La partecipazione di migliaia di persone, così come oggi viene vissuta, attraverso i social, al morire di Michela Murgia, è stata per me l’espressione dell’esigenza di guardare anche alla propria morte e farlo accompagnati. Non nascondendo il proprio morire, Michela Murgia ha condiviso la gratitudine per la vita, una vita certo fortunata, da questa parte di mondo, in questo tempo, ma non scevra di dolori, fughe, sofferenze, e proprio per questo, politica, piena e in comunione con le vite delle altre e degli altri. Tutto questo è vivere da risorti, riconoscendo se stesse e se stessi nel perdersi della vita, senza disperdersi, con la consapevolezza di far parte di quella schiera di testimoni che ci precede e del legame con le generazioni che verranno. Questo fa della verità, la liberazione delle vite che sembrano costrette ad un destino ineluttabile, sempre ubbidiente alla cultura predominante, soprattutto per le donne, ma che non risparmia neanche gli uomini.

In una sua lunga intervista a Vanity Fair, l’ultima da lei rilasciata, Michela Murgia parla della sua famiglia ibrida, queer, usando la parola inglese che indica gli “strani” le “fuori norma”: una comunità di intenti e basata sull’amore in cui si portano i pesi gli uni delle altre. La fonte di questo stare insieme tra persone diverse che vivono la famiglia non come legame di sangue ma di vocazione, di chiamata alla vita è Gesù. Gesù come porta delle pecore, dice lei stessa, citando sempre il vangelo di Giovanni, fede come soglia che permette di non essere prigioniere né della dimensione privata e protetta, quella che non si vorrebbe mai lasciare, quella dei simili, ma anche quella che fissa i legami e le relazioni, né, tantomeno, della dimensione pubblica, che apre al mondo  e alle sue contraddizioni, ma anche espone e divora.

Stare nella testimonianza di questa esperienza significa anche astenersi dai giudizi moralistici e pruriginosi di tanta stampa e interrogarsi se non sia proprio questa una direzione possibile della liberazione che il conoscere la verità offre: allargare i confini, gli sguardi, per riconoscersi parte di un cammino comune, umano, di vita, comunità, amore.

Per cambiare le lenti con cui guardiamo e costruiamo la società, non avendo paura della complessità delle cose e delle relazioni, mettendoci la faccia, e tutto il resto del corpo. Perché è delle nostre vite che parliamo, di come possiamo metterle al servizio del mondo, in pienezza e senza paura.