L’armonia delle differenze, religioni a confronto nell’ambito del Tertio Millennio Film Fest

Il soffitto della sala convegni del Centro Bibliografico “Tullia Zevi” (Unione delle comunità ebraiche italiane - UCEI) opera di Lele Luzzati. Roma

Roma (NEV), 14 novembre 2023 – Si è svolta questa mattina a Roma, presso la Biblioteca nazionale dell’ebraismo italiano “Tullia Zevi”, la tavola rotonda interreligiosa nell’ambito del XXVII Tertio Millennio Film Fest (TMFF). I lavori sono stati aperti da Giuliano Savina (Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e dialogo interreligioso – UNEDI) e moderati da Luisa Locorotondo della Fondazione Metamorfosi.

Il titolo della tavola rotonda riprende il titolo di questa edizione del Festival: “L’armonia delle differenze”, parole usate da papa Francesco, ha ricordato Savina, in occasione del 75° compleanno dell’Ente dello Spettacolo.

L’incontro ha visto la partecipazione di Mons Paul Desmond Tighe, Segretario (Sezione cultura) del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Davide Assael, filosofo, Presidente dell’Associazione Lech Lechà. Giuliano Giustarini, indologo. Nadija Kebour, islamista. Letizia Tomassone, pastora e teologa protestante. Erano presenti diversi rappresentanti religiosi e laici, oltre che ragazzi e ragazze provenienti da un liceo di Lucca che stanno partecipando anche alle attività collaterali del Festival con laboratori e visite di carattere interreligioso e interculturale. Hanno portato un saluto e una testimonianza il presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo Davide Milani e Saul Meghnagi, pedagogista e consigliere dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (UCEI), coordinatore della Commissione educazione e giovani. Proprio Meghnagi ha voluto riferire dell’incontro odierno con l’ambasciata tedesca per un progetto condiviso in ambito educativo, su “natura e genesi del pregiudizio”. Segno importante, in questo momento storico, a dimostrazione che “parti in conflitto di una tragedia della storia possono mettersi insieme per ricucire ferite terribili. Anche nel dolore è possibile ritrovare il dialogo” ha detto Meghnagi.

Fra le parole chiave emerse nel corso della tavola rotonda: l’importanza dell’incontro e dell’arte, in particolare cinematografica, per il riconoscimento e il superamento di polarizzazioni e pregiudizi. Si è discusso anche di identità, di ascolto reciproco, di cura.

Qui di seguito, una sintesi degli interventi.


Paul Desmond Tighe: “L’armonia non è semplice”

“Il concetto di armonia è molto bello, ma non va banalizzato – ha detto Tighe –. Non possiamo ignorare odio, violenza, sfiducia. L’armonia non è semplice, le differenze non vanno appiattite. Non basta cercare un equilibrio, una relazione né tantomeno uniformità. La vera armonia richiede un cambiamento culturale”. La vita è arte dell’incontro, per citare papa Francesco, ha proseguito: “Per questo dobbiamo gettare ponti, progettare insieme”. E citando il poeta irlandese William Butler Yeats ha proseguito “the center cannot hold”, il centro non può reggere. Servono tecniche e processi che facilitino il dialogo, serve “un salto di immaginazione: come vedo l’altro? Come nemico, minaccia, concorrente? Francesco, e non solo lui, chiede di riscoprire il senso di appartenenza come esseri umani. Spesso sono gli artisti che ci stimolano a ripensare le nostre categorie, a scoprire qualcosa di noi stessi e degli altri”.

Film: Belfast, 2021, Kenneth Branagh. Il caso Spotlight (Spotlight), 2015, Tom McCarthy.


Letizia Tomassone: l’esodo delle donne e il sogno di Dio

“Nel cinema ci troviamo, a volte, di fronte al racconto di vite che sono rotte e spezzate dalle religioni di appartenenza. Ad esempio, nel film ‘Le onde del destino’ è rappresentata una donna calvinista, un’immagine di autosacrificio e di espiazione, di una lotta che ci ricorda quella che conduciamo come donne e teologhe, come credenti. La lotta per uscire da questa immagine di peccato, e divenuta denuncia di una religione che ha costruito una identità di sé contorta” ha detto la pastora, sottolineando quanto anche la disarmonia possa condurre a un superamento positivo delle contrapposizioni. “Anche altri film raccontano come le culture possono incidere sulla vita delle persone in modo stridente, negativo, creando identità incapaci di vivere pienamente. Ci sono film ‘maestri’ che criticano la religione dall’interno e ci aiutano ad andare oltre, a pensare diversamente – ha proseguito Tomassone –. Anche il tema del silenzio di Dio è ampiamente presente nei film di argomento religioso. Forse, di fronte anche al silenzio umano di fronte alle violenze, alle ingiustizie, alle situazioni più crudeli in cui si strumentalizza l’altro, ciò che parla è la vita, la presenza del divino, della pienezza, del sacro insito nelle persone”. Tomassone ha anche parlato di Women talking film in cui le donne di una comunità evangelica devono scegliere se arrendersi alla violenza o di andare via. Viene rappresentato questo esodo delle donne, un esodo dalle violenze, anche sessuali, legittimate con parole di “dio”, inserito come elemento di potere sulle donne. Nella realtà, in quanto è un film ispirato a una storia vera, non è andata così. Il film fa un salto di sogno, che forse rappresenta il sogno di Dio di poter vivere la vita con serenità e giustizia. Le arti in generale, e il cinema in particolare, ci fanno immaginare il possibile, ci aprono a diversi mondi e relazioni, ci coinvolgono e ci fanno fare un salto fuori da noi, anche nel senso di una sana spoliazione di sé e dei nostri egoismi”. Tomassone, infine, ha citato i percorsi di riparazione tra luterani e anabattisti come testimonianza significativa di un processo di riavvicinamento e riconciliazione: “I luterani hanno chiesto perdono, i mennoniti hanno riconosciuto che stavano trasmettendo una memoria rancorosa. Vittime e aggressori si sono riconciliati. Se la storia viene tramandata con odio non c’è possibilità di scaricare dalle spalle l’odio”.

Film: Le onde del destino (Breaking the Waves), 1996, Lars von Trier. Women Talking – Il Diritto di Scegliere, 2022, Sarah Polley.


Davide Assael: “A un passo dalla pace”

Assael ha analizzato il tema dell’armonia a partire dalla coscienza ebraica e biblica: “Quando si parla di armonia e del rischio dell’uniformità, pensiamo subito alla Torre di Babele, al rischio della lingua unica, a un’idea di pluralità come frammentazione”. Pensando a concetti quali la globalizzazione e il modello unico, ha continuato: “le realtà emergenti rivendicano le loro identità specifiche, tuttavia affermare qualcosa sulla coscienza e l’identità ebraica o parlare di rivendicazioni di un cosiddetto ‘popolo separato’ sono concetti da decifrare”. Lo studioso ha evidenziato una sintonia profonda su temi di libertà religiosa e culturale tra musulmani ed ebrei in Europa “ad esempio, nelle ritualità, sul tema della circoncisione, oppure sulla macellazione rituale, ci sono sinergie fra islam ed ebraismo. In merito all’attualità, dobbiamo andare oltre le strumentalizzazioni politiche. Eravamo a un passo dalla pace, e ora siamo nella guerra”. Assael ha citato il Talmud, libro della sapienza ebraica, quando dice che ogni male è un mal d’amore. Il paradosso della relazione consiste in questo: “Quanto possiamo aprirci all’altro senza sacrificare noi stessi? E quanto dobbiamo aprirci per andare incontro all’altro? L’armonia può esserci anche fra polarità contrapposte. Il concetto dello Shalom, tradotto superficialmente con pace, è un concetto di grammatica messianica più complesso. Non sappiamo come comporre lo Shalom, ma sappiamo che dobbiamo tendere allo Shalom”. Infine, ha esortato a dubitare di quanti cercano di “introiettare la logica polarizzante”, tipica sia dei social sia dei mass media, ricordando il percorso di pacificazione degli Accordi di Abramo di cui si parla troppo poco, del percorso di pace che era in corso in nord Africa e con l’Arabia Saudita, fatto di trattati, relazioni diplomatiche, accordi commerciali, energetici e di sicurezza. Sul tema dell’oblio e sul paradigma del conflitto e della riconciliazione Assael ha citato Jorge Luis Borges, che nel libro “Elogio dell’ombra” immagina Caino e Abele che si rincontrano e Abele dice: “Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più”.

Film: la Trilogia del silenzio di Dio, 1961/1963), Ingmar Bergman. Il Vangelo secondo Matteo, 1964, Uccellacci e uccellini, 1966, Teorema, 1968, Pier Paolo Pasolini. Dogville, 2003, di Lars Von Trier con Nicole Kidman. La trilogia su Israele di Amos Gitai.


Giuliano Giustarini: “onorare l’altro, il discrepante, il divergente, ciò che appare in discordia”

“Il concetto di armonia fra le differenze potrebbe accompagnarsi alla parola reverenza. L’armonia, o la pace, può realizzarsi nella misura in cui onoriamo l’altro, il discrepante, il divergente, ciò che appare in discordia – ha detto Giustarini –. Questo onorare può aver luogo non arroccandosi, non nella stasi, per riprendere il poeta Yeats e il suo verso sul centro: il centro non sta in piedi senza movimento. Nel buddismo ci sono molte parole che indicano il movimento. La stessa conoscenza, nasce da un verbo, implica un’azione. Anche l’ignoranza è un’azione che crea errore, discordia e odio. La conoscenza ci muove ed è trasformativa. Ci spinge oltre affinché le differenze siano crogiolo trasformativo. La pratica buddista comprende parole che indicano sentiero, cammino, mettere un piede dopo l’altro. Anche il linguaggio cinematografico, la sua stessa etimologia, ci parla di immagini in movimento. Il film come viaggio si presta benissimo a questi concetti”. Nel suo intervento, Giustarini ha dedicato molto spazio al film Dead Man, come processo di iniziazione e di rinuncia all’ego. Ha inoltre parlato del concetto di frontiera come illusorio. “L’amore autentico nel buddismo si chiama apramana che vuol dire amore oltre misura, sconfinato. Akalika vuol dire oltre il tempo, e mette in dubbio il concetto lineare aprendo la possibilità di superare confini e trasformarci, nelle rispettive differenze, senza farle diventare conflitto. Guarendo noi stessi guariamo gli altri e viceversa, in entrambe le direzioni” ha concluso.

Film: Insection, 2010 e Interstellar, 2014, di Christopher Nolan. Revenant, 2015, Alejandro González Iñárritu. Dead Man, 1995, di Jim Jarmusch con Johnny Depp. Solaris (Солярис), 1972, Andrej Tarkovskij.


Nadija Kebour: “Cinema, occasione di bellezza interiore e crescita collettiva”

Kebour ha aperto il suo intervento con le parole Shalom e Salam, radici comuni nella lingua ebraica e nella lingua araba. Sul concetto di bellezza, ha citato Agostino, che ne parla diffusamente. “Il bello è uno dei 99 nomi di Dio – ha affermato la studiosa –. Un detto del profeta Maometto dice che Dio è bello e ama la bellezza. Cosa intende? Parla forse di bellezza in senso estetico? No, il profeta parla di armonia, parla di Dio che ama tutto ciò che ha creato. Come esseri umani possiamo rappresentare la bellezza che Dio vuole, come sue creature. Se riusciamo a intraprendere un cammino di pietà, che ci avvicina a Dio e fra noi con cuore sincero, siamo in armonia. La bellezza, in questo senso, è da intendersi come perfezionamento, come bontà, come buona parola e buon comportamento”. Kebour ha inoltre denunciato la strumentalizzazione e l’odio che trovano ampio spazio nei social network, nei telegiornali e in generale nei mass media. “Il cinema, invece – ha detto ancora l’islamista – può trasmettere tanto in termini di bellezza interiore e di crescita collettiva” e ha sottolineato l’importanza del cinema e di iniziative come questa per la conoscenza reciproca e per creare occasioni di dialogo. Certi film rappresentano anche violenza verbale e fisica, come ad esempio ne “L’insulto”, ma ci aiutano al tempo stesso a immedesimarci. Dobbiamo “ritrovare un cammino spirituale di cura dalla rabbia che abbiamo nel cuore” ha concluso Kebour.

Film: L’insulto, 2017, Ziad Doueiri. Uomini di Dio (Des hommes et des dieux), 2010, Xavier Beauvois.