Roma (NEV), 12 dicembre 2012 – Con un comunicato stampa diffuso lo scorso 7 dicembre la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha preso posizione su quanto pronunciato dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, in occasione del tradizionale discorso per la festa del patrono della città, Sant’Ambrogio. Il cardinale, partendo da una riflessione generale sull’anniversario dell’Editto di Milano del 313, ha parlato di un “inizio mancato” in materia di libertà religiosa, per poi passare ad un’analisi contemporanea che vedrebbe una presunta esclusione dallo spazio pubblico delle religioni, esclusione riconducibile alla laicità dello Stato inteso come neutralità nei confronti delle espressioni di fede. Un ragionamento, quello di Scola, che in questi giorni ha suscitato diverse reazioni da parte di opinionisti credenti e non credenti.
Sconcerto per le parole di Scola è arrivato anche da ambienti evangelici. Di seguito la dichiarazione raccolta a caldo dal politologo Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), e diffusa lo scorso 7 dicembre a mezzo di comunicato stampa: “Le parole del cardinale Scola nel tradizionale messaggio alla città del 6 dicembre, lasciano sorpresi e sbigottiti perché aggrediscono quel principio di laicità che costituisce, oltre che un caposaldo della nostra Costituzione, l’architrave di ogni modello di convivenza tra fedi diverse nello spazio pubblico. L’arcivescovo di Milano va persino oltre il tradizionale appello di questo pontificato per una ‘sana laicità’ e denuncia ‘una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente’ e che, se fatta propria dallo Stato, ‘finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa’. Scola è fine intellettuale e, se usa parole così nette ed esprime giudizi così perentori, è chiaro che ha un obiettivo preciso: a noi pare che intenda richiamare il suo gregge al fatto che il pastore è cambiato, che il tempo di Martini e Tettamanzi è ormai finito e con esso quello spirito di pluralismo, di laicità e di dialogo che per una lunga stagione hanno caratterizzato il cattolicesimo ambrosiano. Ruvidamente, come ruvide sono state le parole udite dalla Cattedra di Sant’Ambrogio, potremmo definirla ‘restaurazione'”.
Il pastore della chiesa valdese di Milano, Giuseppe Platone, che è anche segretario del Consiglio delle chiese cristiane del capoluogo lombardo (CCCM), per parte sua ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Il cardinale Scola ci ha crudemente messi di fronte al fatto di trovarci, sul tema della libertà religiosa, su posizioni lontane, contrapposte, che in prospettiva rischiano di rendere il cammino ecumenico ancora più faticoso di prima. Non siamo comunque di fronte a degli ultimatum o diktat ma a posizioni, teologicamente e culturalmente diverse che possono (e forse desiderano) un confronto leale, senza scomuniche ma anche senza sconti. Dopo quindici anni di un cammino che ha visto cadute e energici rialzamenti, il CCCM, alla vigilia dell’anniversario della ‘svolta costantiniana’, è di fronte ad una sfida seria che deve trovare la sua risposta nella fedeltà all’evangelo del Cristo che ha dato tutto se stesso senza prendere nulla per sé. Come dire che le religioni, che camminano tutte con le gambe di credenti e di cittadini, imparino a fare un passo indietro per il bene comune”.
La guerra fredda del cardinale Scola
di Paolo Naso – da www.chiesavaldese.org
Nel consueto messaggio del 6 dicembre l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha usato parole forti e chiare contro la neutralità dello Stato in materia religiosa e quindi contro un fondamentale principio giuridico e filosofico alla base dei moderni stati laici. Sembra così concludersi una lunga stagione teologica e culturale che nei decenni scorsi ha portato il cattolicesimo ambrosiano a dialogare con la cultura laica e persino con quella atea.
Con il messaggio del suo arcivescovo, la Chiesa ambrosiana rivendica una sua anomala idea di laicità, distinta e distante da quella del pensiero liberale tradizionale, come è noto fondata proprio sulla neutralità dello Stato riguardo alle questioni religiose: per essere più chiari quel principio che afferma che su alcune materia “di coscienza” lo Stato liberale e democratico non ha un “punto da difendere” ma si affida al libero confronto nello spazio pubblico e nelle sedi istituzionali. Laicità, quindi: a protezione di uno Stato “casa di tutti” che non discrimina chi crede, chi non crede o chi crede in forme diverse da quelle convenzionali o della maggioranza; ma laicità anche a protezione della libertà delle confessioni religiose che non devono sottostare al potere del principe.
Se in altre occasioni l’obiettivo polemico dei vertici cattolici era il relativismo, da Milano è partito uno strale anche contro la “neutralità” che agli occhi del cardinale Scola dissimulerebbe il sostegno “a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio”. Di più: l’impostazione neutralista alla base dell’idea di laicità discriminerebbe le identità religiose “tendendo a emarginarle, se non espellendole dallo spazio pubblico”. Non sappiamo a quale scenario il cardinale si riferisca perché il problema italiano è esattamente quello opposto, ovvero quello di una sovra-rappresentazione della Chiesa cattolica, anche al di là dei suoi reali consensi in un contesto religioso che cambia rapidamente in senso pluralistico; ma certo colpisce la nettezza della parole, quasi una dichiarazione di guerra contro la moderna cultura della laicità. Guerra fredda s’intende ma che ,se alle parole faranno seguito i fatti, potrebbe produrre conseguenze importanti nella strategia ambrosiana di dialogo con la cultura laica, con le istituzioni e con le altre comunità di fede.
Se capiamo bene, il cardinale arcivescovo di Milano accetta il principio di uno Stato laicamente aconfessionale ma respinge l’idea che questa aconfessionalità debba tradursi in “neutralità” rispetto alle varie opzioni religiose. A suo avviso, infatti, lo Stato aconfessionale dovrebbe contrastare la cultura “secolaristica” e “senza Dio”; al tempo stesso non dovrebbe limitarsi a garantire una semplice “libertà religiosa”, liberty of religion come ha affermato in inglese, con implicito riferimento al modello americano. Lo Stato – conclude – dovrebbe muoversi in “orizzonte propositivo più largo, dotato di una ben articolata gerarchia di elementi”.
Agli osservatori non è sfuggito il fatto che il cardinale Scola abbia pronunciato un discorso molto netto e perentorio alla vigilia dell’anno costantiniano quando, nel ricordo dell’editto di Milano del 313, cessarono le persecuzioni contro i cristiani e si affermò un inedito principio di tolleranza religiosa. Di Costantino e del suo Editto si discuterà molto nei prossimi mesi, ma alla vigilia di Sant’Ambrogio l’arcivescovo di Milano ha voluto dare il la alle celebrazioni esprimendo una “direttrice” molto precisa: non si ricordi Costantino per parlare di pluralismo, né si immaginino tortuose attualizzazioni per ragionare di laicità e dialogo interreligioso. L’Editto è semmai il fondamento di quel regime di cristianità che, con i dovuti aggiornamenti, il cardinale sembra auspicare anche per l’Italia di oggi: non un insostenibile (e anticostituzionale) neo-confessionalismo, certo, ma la definizione istituzionalizzata e istituzionalmente garantita di una “ben articolata gerarchia di elementi”. E non è rivendicazione da poco.
Su questi temi, dalla cattedra di Sant’Ambrogio eravamo abituati ad ascoltare altri discorsi.
Roma, 8 dicembre 2012
Le comunità cristiane di base italiane
Roma, 11 dicembre 2012 – da www.cdbitalia.it
Il discorso pronunciato dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola in occasione della solennità religiosa di sant’Ambrogio si presta, a giudizio delle comunità cristiane di base, a diverse considerazioni.
La prima concerne l’associazione, storicamente assai discutibile, fra la promulgazione dell’editto costantiniano del 313 con l’inizio della libertà religiosa: infatti la “fine progressiva” delle persecuzioni contro i cristiani non coincide storicamente con l’affermarsi del principio della libertà per tutte le fedi. Come si spiegano, altrimenti, le persecuzioni cristiane, a cominciare da quelle inferte alle religioni tradizionale dell’Impero romano così dette pagane, per proseguire poi contro le fedi indigene dei mondi nuovi dall’America all’Africa e, perfino a Roma e fino all’ottocento, in tempi di papa re, le conversioni coatte dei bambini ebrei sottratti alle famiglie d’origine? E se il Concilio Vaticano II ha costituito una vera novità, dov’è l’autocritica del magistero ecclesiastico sui comportamenti del passato? L’arcivescovo di Milano pur fra citazioni dotte, non ne fa parola.
La seconda considerazione riguarda il nesso fra “libertà religiosa e pace sociale”. E’ vero che più lo Stato impone dei vincoli, più aumentano i contrasti a base religiosa ma tali vincoli non sono forse proprio il frutto di un intreccio di poteri, di connivenze, di complicità che riguardano ancora oggi non solo le chiese cristiane (vedi la chiesa anglicana o quella ortodossa oltre quella cattolica) ma anche le variegate realtà dell’Islam? O del mondo che si rifà all’ebraismo?
La terza questione, forse quella politicamente più rilevante, riguarda un’interpretazione assai capziosa della laicità dello Stato identificata dal cardinale Scola in una “cultura dominante” che diffonderebbe una “visione secolarizzata dell’uomo e del mondo”. E quindi ontologicamente ostile verso ogni fenomeno religioso.
Eppure, in tutti gli stati moderni siamo ancora ben lontani da una prassi di laicità degli stati e dei governi; dette per di più nel contesto italiano le parole dell’arcivescovo ambrosiano suonano a protezione delle opere e della loro “Compagnia”, soprattutto quando si evoca “il cattolicesimo popolare ambrosiano” e le sue reti.
In questo contesto le comunità cristiane di base denunciano la riproposizione trionfalistica del costantinismo che conoscerà nel prossimo anno eventi celebrativi che avranno la conseguenza di occultare ogni valutazione storico critica in nome di una libertà religiosa che si è sempre affermata intrecciando privilegi ecclesiastici e mondani, dimenticando il diritto di ogni uomo alla sua cittadinanza fra uguali. Anche nella ricerca del divino.
313/2013, a «scola» di Costantino
di David Gabrielli – Anticipazione dell’editoriale in uscita sul numero di Gennaio di Confronti – www.confronti.net
Il diciassettesimo centenario dell’Editto di Milano, che quest’anno sarà celebrato in molti modi, ha avuto quasi una «ouverture» un mese fa, il 6 dicembre, quando il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nei primi vespri della festività di sant’Ambrogio ha tenuto il consueto discorso alla città, nel quale, per ricordare il famoso testo, ha citato il giurista Gabrio Lombardi: «L’Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo moderno».
Quella legge, notava il prelato, determinò «non solo la fine progressiva delle persecuzioni contro i cristiani ma, soprattutto, l’atto di nascita della libertà religiosa… Non si può tuttavia negare che l’Editto di Milano sia stato una sorta di inizio mancato», perché poi si aprì «una storia lunga e travagliata», con una «indebita commistione tra il potere politico e la religione». Ma, infine, «la situazione cambiò profondamente con la promulgazione della Dignitatis humanae», la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa. Parlando poi dei moderni Stati democratico-liberali, il prelato rilevava: «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente» che, se assunta dallo Stato, «finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».
L’arcivescovo bypassa le gravissime contraddizioni di Costantino che, malgrado le solenni parole del cosiddetto Editto di Milano, punì severamente gli «eretici», e lanciò contro gli ebrei l’accusa di deicidio, da essi, allora e fino al secolo ventesimo, pagata a caro prezzo. E, venendo al Vaticano II, il cardinale non spiega che cosa cambiò «profondamente» – nel magistero cattolico – con la Dignitatis humanae. Non lo spiega (come non lo spiega mai Benedetto XVI, e nemmeno Comunione e Liberazione, movimento nel quale è cresciuto anche Scola) perché è difficile sostenere la continuità di un magistero che oggi afferma il diritto alla libertà religiosa dopo avere per secoli affermato, in linea di principio, il diritto-dovere della Chiesa romana di mandare al rogo «eretici» e «streghe».
L’idea, poi, che la «neutralità dello Stato laico», con la sua «chiusura al trascendente», finisca per «limitare la libertà religiosa», ha un sapore fondamentalista. Lombardi e Cl si batterono contro la legge sul divorzio, che invece nel referendum del 12-13 maggio 1974 fu confermata; a difendere la libertà di coscienza e la laicità dello Stato furono i «laici», fossero essi non credenti, o seguaci di varie fedi, cattolica compresa. Del resto, la storia dimostra che l’aprirsi di uno Stato al «trascendente» non evita, di per sé, che esso sia violento. Certo, regimi ufficialmente atei – come quello sovietico guidato da Stalin – si sono macchiati di orrendi delitti; ma è stato da meno il regime hitleriano che sbandierava lo slogan Gott mit uns? E se si obietta che questa era una spudorata strumentalizzazione della religione, che dire dei misfatti compiuti dai conquistadores spagnoli, cattolici, nella «scoperta» dell’America?
D’altronde, regimi islamici aperti al «trascendente» impongono un’interpretazione rigidissima della sharia (la legge indicata da Allah nel Corano) che opprime molti! Solo la laicità difende e protegge tutti i cittadini di uno Stato, di ogni religione e filosofia. E, ad esempio, se esso promulga leggi su divorzio ed aborto – scelte ammesse anche da molte religioni – nessuno è obbligato a servirsene. Invece il discorso dell’arcivescovo, oltre a dare un’interpretazione minimizzante del Vaticano II, porterebbe ad ammettere la laicità dello Stato solo a patto che esso, sui «princìpi non negoziabili», faccia propria la visione, in merito, delle gerarchie cattoliche. Infine, notiamo l’imbarazzato silenzio di Scola sui grandi privilegi che il Concordato vigente dà alla Chiesa romana in Italia. Lui, tutto dedito al «trascendente», non si interessa del «relativo» e dell’«immanente», tipo l’ottopermille, l’esenzione dall’Imu, la Compagnia delle opere vicinissima a Cl…
Ma Scola non pensava solo a Milano, o all’Italia, per far capire che l’era dei Martini e dei Tettamanzi… finalmente è chiusa. Egli – ci sembra – ha posto la sua candidatura al papato. Una strada, del resto, indicata dallo stesso pontefice regnante che, trasferendolo nel 2011 dal patriarcato di Venezia all’arcidiocesi di Milano, obiettivamente lo ha messo in pole position in vista del conclave. Non desiderando questo esito – del resto, niente affatto scontato – ci sembrava giusto illuminare la scena, oggi, a conforto dei perplessi. Vedremo poi se… lo Spirito santo favorirà un Ratzinger II o un Carlo I.