Brexit. L’arte di ascoltare

Una riflessione della vescova anglicana Guli Francis-Dehqani, vice presidente della Conferenza delle chiese europee (KEK): “Indipendentemente dagli esiti sulla Brexit, noi possiamo impegnarci a promuovere relazioni basate sull'onestà, sul rispetto reciproco, sulla dignità di tutti e l’ascolto profondo”

Foto tratta da publicdomainpictures.net

Roma (NEV), 3 aprile 2019 – La Conferenza delle chiese europee (KEK) ha diramato un documento di riflessione sulla Brexit della vescova anglicana Guli Francis-Dehqani, della Chiesa d’Inghilterra, nonché vice-presidente KEK. Lo riproponiamo in una traduzione italiana.

“Forse conoscete la storiella del turista in Irlanda che chiede a un irlandese le indicazioni per raggiungere Dublino, al quale egli risponde: “Signore, se fossi in lei, non partirei da qui”[1]. Per fugare il dubbio che io sia razzista, lasciatemi dire rapidamente che penso ci sia un po’ di saggezza in questa storia – a volte è meglio abbandonare del tutto una cosa e iniziare daccapo, piuttosto che rattopparla, cercando di sistemare le cose. Ma nella situazione attuale, per quanto riguarda la Brexit e il nostro rapporto con l’Europa, non possiamo permetterci questo lusso. Non possiamo tornare al punto di partenza e ricominciare tutto daccapo. Siamo dove siamo ed è da qui che dobbiamo ripartire. La destinazione è ovviamente importante, ma forse lo è ancor di più il modo in cui viaggiamo.

Si parla molto del nostro Paese in crisi. In parte è così, ma diffidiamo delle disastrose profezie che si autoavverano. Durante la mia adolescenza, ho vissuto attraverso una rivoluzione nel mio paese d’origine, l’Iran. Ricordo bene il caos, l’odio e la divisione, e persino lo spargimento di sangue, e tutto ciò era penetrato nel tessuto della società. Voglio dire chiaramente che non è questa la situazione che stiamo vivendo nel Regno Unito. Capisco la paura e l’ansia, capisco che il futuro di alcune persone sia molto incerto, ma possiamo ancora scegliere in che modo andare avanti, qualunque sia la destinazione.

Guli Francis-Dehqani. Foto Albin Hillert – KEK

Quando sono arrivata dall’Iran per la prima volta in questo paese, nel 1980, ho vissuto 5 anni come rifugiata. Tecnicamente ero apolide – cittadina del nulla, o del dovunque, a seconda del punto di vista. So che la nostra identità nazionale, la nostra appartenenza e residenza sono importanti. So che la gente si sente forte sulla base del fatto di essere britannica o europea o qualsiasi altra cosa. Ma so anche che alla base di ciascuna delle nostre identità individuali c’è la nostra comune umanità, il filo che ci unisce tutti, chiunque siamo, e non dovremmo mai perderlo di vista.

Vorrei suggerire che una chiave per decidere se possiamo o non possiamo fare un passo in avanti insieme sia nella capacità umana di ascoltare. Se possiamo nutrire e coltivare l’arte di ascoltare, essa ci aiuterà a viaggiare bene, così che possiamo capirci l’un l’altro e gestire le nostre differenze e i nostri conflitti non solo in modo appropriato, ma in un modo che consenta a tutti di fiorire e prosperare.

Sebbene sviluppiamo la nostra capacità di udire nel grembo materno, la capacità di ascoltare è invece qualcosa che dobbiamo costantemente imparare.

L’educatore, autore e uomo d’affari americano Steve Covey ha detto che ‘la maggior parte delle persone non ascolta con l’intento di capire, ma con l’intento di rispondere’. In altre parole, mentre ascoltiamo gli altri, nelle nostre teste, stiamo formulando la nostra risposta; perché la nostra priorità è essere ascoltati. Inoltre, spesso ascoltiamo ciò che vogliamo sentire, riconfermando le nostre opinioni e giudizi. Invece, se vogliamo veramente capire, dobbiamo ascoltare con apertura.

Per prima cosa, dobbiamo aprire le nostre menti in modo che iniziamo a riconoscere e conoscere le differenze di opinione. Quindi, abbiamo bisogno di cuori aperti per sviluppare la capacità di entrare in empatia.

L’empatia ci permette di creare una connessione emotiva con gli altri e rende possibile vedere attraverso altri occhi.  Infine, dobbiamo aprire la volontà verso un cambiamento nel nostro modo di pensare e persino nella nostra identità. L’intero processo deve essere consapevole e intenzionale, ma ha il potere di essere trasformativo.

Come cristiani, e come persone di fede, credo siamo in grado di sviluppare questa nozione di ascolto profondo attraverso la pratica della preghiera. Mentre ci sforziamo di ascoltare attentamente la voce di Dio nelle nostre vite e nelle nostre comunità – se lo facciamo con una mente aperta, un cuore aperto, e una volontà aperta – inizieremo a riconoscere i nostri stessi difetti, ad accrescere la compassione verso gli altri e a iniziare a sperimentare la possibilità di trasformazione nelle nostre vite.

So che l’accavallarsi delle priorità, le pressioni di un’agenda che guida le mie scadenze di lavoro, la costante richiesta di predicare e parlare, tutte queste cose fanno sì che io debba vigliare su me stessa affinché l’ascolto rimanga al centro del mio ministero, ascoltando Dio e ascoltando quelli che servo e con cui sono in relazione. So dal mio coinvolgimento con la Conferenza delle chiese europee (KEK) che la più grande sfida per la nostra organizzazione, con le sue 113 chiese membro, è resistere alla tentazione di imporre la nostra volontà e le nostre decisioni piuttosto che porci in ascolto dei bisogni degli altri.

Amici miei, alla fine, abbiamo una scelta da fare su come andremo avanti, come cittadini inglesi, come europei, come esseri umani. Indipendentemente dagli esiti sulla Brexit, noi possiamo impegnarci a promuovere relazioni basate sull’onestà, sul rispetto reciproco, sulla dignità di tutti e l’ascolto profondo. Invece di incolpare i sistemi, i processi e i politici, possiamo scegliere di viaggiare bene insieme, creare spazi di ascolto e costruire ponti, ma tutto questo non accadrà per caso. Ci vorrà uno sforzo, un impegno profondo e la disponibilità a parlare bene l’uno dell’altro, anche quando non siamo d’accordo”.


[1] Questa barzelletta, nota almeno dal 1924, ironizza sul fatto che per raggiungere obiettivi ambiziosi, come una città ricca e piena di opportunità quale Dublino, è meglio evitare un punto di partenza svantaggiato: se parti da qui, vi arriverai con molta fatica, o non ci arriverai proprio! In italiano potrebbe suonare così: Un turista si ritrova nel quartiere romano di Torre Maura e chiede “Qual è la via migliore per raggiungere il Campidoglio?”, e ottiene la risposta: “Se fossi in lei, non partirei da qui”.