Finestra aperta. Smascherare la violenza che non osiamo vedere

Pubblichiamo la nota di Cristina Arcidiacono, pastora evangelica battista, andata in onda durante la trasmissione “Culto evangelico” – rubrica “Finestra aperta”, in onda su Radio RAI 1, domenica 24 novembre 2019

Foto Corey Agopian / Unsplash

Roma (NEV), 27 novembre 2019 – Metropolitana di Roma. Una mano maschile preme sulla schiena di una giovane donna in piedi. Il vagone è pieno. La mano scende e arriva alle natiche. La donna è a disagio, prova a spostarsi, c’è molta gente, è pressata. La mano la riacchiappa. Qualcuno guarda, altri distolgono lo sguardo. Ci sarà un intervento che interpelli l’uomo e che lo smascheri? O ci saranno commenti sulla donna, che agli sguardi altrui non fa nulla per liberarsi? O magari ci saranno parole di stizza sull’abbigliamento della giovane: “beh, se una si veste così…”

Questa volta, questa scena, è una rappresentazione teatrale. Teatro invisibile*, per la precisione, una forma di teatro che serve a far vedere ciò che non è riconosciuto.

Ogni tanto succede che l’attore-molestatore venga fisicamente fermato, una volta è stato anche picchiato: “Meno male” dice Olivier. Olivier Malcor, attore, è di origine olandese e francese. Ha vissuto in una famiglia dove la violenza faceva parte del contesto educativo e per anni ha pensato che “fosse normale”. È la normalità della violenza che impedisce di riconoscerla quando la si subisce o quando essa viene agita dai propri familiari su una sorella, o su un fratello. Oggi, Olivier si occupa di violenza di genere e lo fa attraverso il teatro.

Con la compagnia con cui lavora, “Parteciparte”, rende partecipi le persone nel cammino che porta al riconoscimento dei propri vissuti, del contesto in cui ci si trova, e accompagna al desiderio e all’azione per provare il cambiamento, osando, sbagliando, riprovando.

Un impegno civile, quello di Olivier e della sua compagnia, un impegno anche teologico quando il teatro incontra giovani pastore e pastori delle chiese battiste metodiste e valdesi d’Italia, durante un fine settimana di formazione sul tema della violenza, e in particolare della violenza maschile, quella di cui siamo culturalmente tutte e tutti imbevuti. È accaduto in ottobre: da questo incontro è nata una lettera aperta alle chiese e l’impegno individuale e comunitario a prendere sul serio il messaggio d’amore delle Scritture. Un impegno a non “conformarci a questo mondo”, per riprendere le parole dell’Apostolo Paolo nella lettera ai Romani, ma a rinnovare mente e cuore, per prendere la direzione di Cristo, essere umano in Gesù, maschio, che ha fatto della debolezza la sua forza, della croce la sua potenza. Per le chiese, per tutte le chiese, è importante fermarsi a riflettere e far emergere ciò che non vuole essere visto. In questi giorni la chiesa riformata del Ticino, vicina al territorio italiano, sta avendo il coraggio di aprire il baule che si vorrebbe sotterrare: abusi nei confronti delle persone più vulnerabili, bambini, bambine, rom, disabili, figlie e figli illegittimi e le loro madri, violenze commesse da chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. Le chiese, le persone che ne fanno parte, hanno bisogno di riconoscere e ascoltare, forse per la prima volta, le storie che non vogliono essere dette, per guardare e allora forse poter riparare, ricucire le ferite inferte anche in nome di una morale ricavata da un uso improprio del messaggio biblico. È importante incominciare. E il cammino passa anche dalla metropolitana di Roma.

Cristina Arcidiacono


*Il “teatro invisibile” è una forma di teatro sociale. Strumento del cosiddetto “teatro dell’oppresso”, metodo codificato dal regista brasiliano Augusto Boal a partire dagli anni ’60 per schierarsi dalla parte degli oppressi in un percorso di presa di coscienza, ha come scopo quello di coinvolgere, sensibilizzare, stimolare la partecipazione e la riflessione collettiva e personale su determinati temi in spazi pubblici quali mercati, metropolitane, strade, piazze. Attori e attrici mettono in scena, in questi luoghi, senza dichiararsi, situazioni di conflitto o ingiustizia. Queste situazioni susciteranno reazioni, commenti e azioni da parte delle persone che assistono, ignare che si tratti di una circostanza teatralizzata. Fra gli obiettivi del teatro dell’oppresso c’è quello di rendere esplicite le dinamiche e gli squilibri di potere tra singoli e gruppi. È utilizzato come strumento di trasformazione sociale e personale, ma anche a scopi educativi, per la sua capacità di smascheramento e liberazione dagli stereotipi e per il superamento dei conflitti.