Peter Ciaccio cittadino onorario di Palermo

Il discorso del pastore metodista, al quale il sindaco del capoluogo siciliano ha conferito questa mattina la più alta onorificenza cittadina

Roma (NEV), 26 ottobre 2020 – Palermo ha un nuovo cittadino onorario: il pastore metodista Peter Ciaccio, che per anni ha svolto il suo ministero nella città siciliana e oggi vive a Trieste.

Stamattina, 26 ottobre, il momento ufficiale presso il Palazzo delle Aquile, sede del Comune guidato dal sindaco Leoluca Orlando. Alla cerimonia hanno partecipato anche vari esponenti delle chiese valdesi e metodiste locali: la moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta, la direttrice del centro Diaconale La Noce Anna Ponente, la pastora e membro della Tavola Thesie Mueller, il presidente della chiesa di via Spezio Daniele Palermo, Giuseppe Scudieri della chiesa de La Noce, il pastore Bruno Gabrielli con la moglie diacona Monica NataliMarta Bernardini, operatrice di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI.

“Per l’impegno profuso ad ogni livello locale e internazionale, in ambito ecumenico, nella difesa dei diritti umani e della libertà religiosa. Per il suo contributo di approfondimento scientifico testimoniato dai suoi numerosi studi e scritti. Per aver saputo interpretare la dimensione comunitaria della città, attraverso la guida della chiesa metodista e valdese, integrando la dimensione pubblica e privata della sua missione, coniugando fede e impegno civile, cercando di fare rete e sanando lacerazioni del tessuto sociale, superando incomprensioni talora ataviche. Per essere stato un punto di riferimento spirituale per la comunità palermitana, caratterizzato da un impegno religioso e civile entusiasta e attivo, da un profondo legame con la città e le differenti confessioni religiose. Per avere condiviso divenendone protagonista importante, una visione della nostra città […] contro egoismi individuali e appartenenze a gruppi chiusi”, queste le parole scritte sulla pergamena consegnata al pastore dal primo cittadino, che ha manifestato “stima e ammirazione per la sua missione spirituale, intellettuale e sociale, espressione di valori condivisi da questa città”.

Qui di seguito il discorso di Peter Ciaccio oggi, in occasione della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria:

“Caro sindaco, care concittadine e cari concittadini di Palermo,

È con grande emozione e commozione che ricevo oggi la cittadinanza onoraria di questa amata città, un riconoscimento che mi lega indegnamente ai tanti che l’hanno ricevuta in passato. Ne voglio ricordare uno: Wim Wenders, il regista tedesco in grado di immaginare degli angeli che vegliano su una città divisa e che, al tempo stesso, invidiano il destino di quegli esseri umani in grado di amarsi e di farsi del male, di vivere e di morire. Gli angeli invidiano talmente gli umani da rinunciare alla propria alterità per diventare come loro: cittadini di una città divisa da muri visibili e invisibili.

Nella metafora di Wenders vedo la scelta che ognuno e ognuna di noi si trova davanti: osservare le divisioni tra gli esseri umani e prenderne atto, commuoversi o indignarsi, oppure farsene carico, scegliere di essere da una parte, scegliere di far parte dei conflitti e tentare di disinnescarli, scegliere di far parte delle divisioni e tentare di sanarle?

Non è solo una scelta tra angeli e cittadini, perché sappiamo che gli esseri umani possono vivere la città senza esserne cittadini, vivendo una vita da spettatori, quella “visione del mondo che si è oggettivata” di cui parlava Guy Debord. E allora mi commuovo, mi indigno, mi lamento, ma non sono realmente coinvolto, perché se lo fossi, significherebbe essere dalla parte del problema, essere corresponsabile delle cose che non vanno, essere responsabile in prima persona della mia inazione. Essere cittadini significa farsi carico del destino della città, a costo di essere dalla parte del torto o di uscirne sconfitti.

Nella Bibbia, nel libro del profeta Geremia troviamo delle parole importanti: «Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene» (Geremia 29,7). Il Regno di Giuda era stato sconfitto da Nabucodonosor II, re di Babilonia. La classe dirigente, gli intellettuali, i militari, i religiosi ebrei furono deportati a Babilonia e a loro, proprio a loro, il Signore chiede di cercare il bene di quella città che era per loro straniera. Si può coltivare e preservare la propria particolare identità, ma non si può essere estranei nella città in cui si vive. Quella città dove tu ti senti straniero è ora la tua città e dal suo bene deriva il tuo bene.

Alla luce di questa parola, è interessante rilevare che questa città di Palermo ha, almeno in parte, capito una cosa: dal bene degli stranieri dipende il proprio bene. Contro le tendenze paranoiche, distruttive e autodistruttive di una buona parte dell’Italia e dell’Europa nei confronti delle donne e degli uomini che provengono da altri paesi, ma che lavorano ogni giorno per il bene della città che li ospita, questa città di Palermo ha risposto accogliendo. Lo fanno le chiese, lo fanno le tante associazioni di cittadini e cittadine e lo fanno anche le istituzioni quando conferiscono la cittadinanza onoraria al vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm, presidente dei protestanti tedeschi, e agli equipaggi delle navi “Sea Watch”, “Mare Jonio” e “Accursio Giarratano”, che hanno operato e operano per salvare chi rischia di affogare in mare nel viaggio verso una vita migliore.

Quando arrivai in questa città di Palermo, sentii subito di non esserne un corpo estraneo, perché prima di me ero stato preceduto dall’opera di tante sorelle e fratelli valdesi e metodisti. Penso a Giorgio Appia, il fondatore della chiesa valdese di Palermo, collaboratore di Henri Dunant, ideatore della Croce Rossa Internazionale. Penso a come Appia sia venuto a Palermo appena è stato possibile, ovvero nel 1861, perché prima non era possibile essere protestanti e palermitani. È una cosa che i nostalgici dei bei tempi andati ignorano o dimenticano spesso e volentieri: c’è stata un’epoca dove non era possibile essere altro che cattolici in questa bella terra. Penso anche a Pietro Valdo Panascia, il primo esponente di una chiesa cristiana ad alzare la voce contro la mafia nel 1963, fondatore del Centro Diaconale La Noce.

Chi mi ha preceduto non è venuto qui come un esule di passaggio, in attesa di approdare in lidi migliori, ma ha dimostrato quanto una piccola minoranza può dare alla città, senza necessariamente conquistarla, senza attendersi che la città si conformi alla propria visione del mondo.

Di questi tempi qualcuno si lamenta che a forza di difendere le minoranze, chi proteggerà i diritti della maggioranza? Il punto è proprio questo: la maggioranza si difende sostenendo il diritto/dovere delle minoranze di contribuire al bene comune. Questa è la città che nel 1938 cacciò in quanto ebreo Emilio Segrè, il fisico che lavorava per rendere grande la locale università. È la stessa città in cui l’arcivescovo Corrado Lorefice pochi anni fa ha restituito agli ebrei la possibilità di avere una sinagoga dopo oltre cinque secoli dalla loro cacciata. Chi ha difeso i diritti della maggioranza, in particolare il diritto di guardarsi allo specchio la mattina: chi ha cacciato gli ebrei o chi li ha reintegrati nel tessuto cittadino?

Non voglio, però, parlare solo delle minoranze etniche e religiose, perché Palermo è una città che accoglie più di altre le persone omosessuali, senza distinguo e senza smentite, dove il Pride è una festa di tutti e tutte, dove si celebrano unioni civili con gioia partecipata, dove le famiglie arcobaleno possono contribuire al bene della città. La Veglia ecumenica per il superamento dell’omotransfobia è uno degli esempi più belli di collaborazione tra cittadini e cittadine, senza distinzione di fede né di orientamento sessuale, dove la dimensione religiosa si sposa con la dimensione civile, senza confusione né prevaricazione dell’una sull’altra. Tutto per il bene della città.

In ultimo vorrei ringraziare le sorelle e i fratelli valdesi e metodisti di Palermo, che continuano a lavorare per il bene di questa città, e la mia famiglia: mia moglie Eva, che ha tessuto importanti reti culturali in questa città, e i miei figli Daniel e Martin, che con la loro semplice esistenza mi ricordano sempre che non lavoriamo per noi, ma per chi verrà dopo di noi.

Con orgoglio e commozione oggi posso dire anch’io “Civis panormitanus sum”. Grazie”.