Tra angeli e pastori: come in cielo così in terra!

Una predicazione di Natale del professor Enrico Benedetto sul testo di Luca 2:1-14

"Holy City with Herald" di Brian Whelan - Creative Commons

Roma (NEV), 25 dicembre 2022 – Pubblichiamo la predicazione del professor Enrico Benedetto andata in onda nella puntata di Natale del Culto evangelico, la trasmissione di RADIO1 RAI prodotta dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). La traduzione del testo biblico è a cura del predicatore.


Buon Natale! Buon Natale, perché il Natale è buono. Non siamo noi a essere buoni; è la bontà di Dio, é la bontà del Creatore che investe le creature, 2022 anni fa come stamani.

Perché l’angelo del Signore è passato questa notte sul tuo paese, sulla tua cittadina, sulla tua metropoli. E’ passato sulla tua vita, su quella delle persone che ami come su quella delle persone che ti sono antipatiche, ostili. E’ passato sulle tue paure, sui tuoi rimpianti, sulle tue frustrazioni; come è passato sulle tue gioie, i tuoi entusiasmi e le tue aspirazioni.

Non è un angioletto da presepe, non scende dal camino come Babbo Natale; non è nemmeno l’angelo sterminatore dell’apocalisse: è un Angelo che percorre il mondo – il mondo conosciuto ai tempi di Gesù, e quello scoperto da allora.

E’ un Angelo senza nome ma che reca un nome: Gesù, il Salvatore. E Gesù non scende dalle stelle come un marziano sull’astronave, ma sbarca sulla terra come tutti noi l’abbiamo fatto: dal ventre di sua madre. Un parto open air, nella notte; un seme di speranza, un vagito che diverrà grido sulla croce e promessa realizzata di risurrezione. L’angelo è passato ma il suo passaggio non passa, è presente ed è futuro per ciascuno e per tutti due millenni dopo. Cantiamo la nostra esultanza!

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Immagine Public Domain

Mentre Giuseppe e Maria, la sua fidanzata, erano a Betlemme per il censimento ordinato da Cesare Augusto, arrivò il momento di partorire per Maria: E mise al mondo il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non c’era posto nella locanda. Vi erano in quella regione dei pastori che trascorrevano la notte nei campi per custodire le loro greggi. L’angelo del Signore si levò dinanzi a loro e la gloria del Signore si mise a brillare tutto intorno a loro. Essi erano terrorizzati, ma l’angelo disse loro: Non abbiate paura, perché vi annuncio la buona novella di una grande gioia che è destinata a tutto il popolo nella città di Davide: oggi vi è nato un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo sarà un segno per voi: troverete un neonato, fasciato e deposto in una mangiatoia. E in un battibaleno si unì all’angelo una moltitudine dell’armata celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini nei quali Dio si compiace”. (Luca 2: 1-14).

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Un angelo, dei pastori. E’ questa la prima epifania, non quella dei re Magi! Epifania, cioè manifestazione dall’alto, istantanea. Gesù nasce in incognito ma lo resta per pochi attimi. Ecco un’altra epifania, anzi un’altra annunciazione. L’angelo annunzia ma non c’è l’annunziata, Maria, come nel Vangelo di Luca nel capitolo precedente; e non c’è nemmeno l’annunziato, Giuseppe, come nel Vangelo di Matteo. C’è una moltitudine indistinta, i pastori, che non ha nome come non ha nome l’angelo.

Dopo lo zoom sulla mangiatoia, il nostro racconto di Natale usa il teleobiettivo e lo punta sul cielo: che cosa c’è da vedere in cielo, nel cuore della notte? Poco o nulla! Si può vedere il buio, magari era pure nuvolo perché la stella cometa dei Magi non fan parte della nostra narrazione!. O meglio, qui la cometa è un angelo col megafono; parla a una massa squalificata che si trova lì quasi per sbaglio, sicuramente per caso e comunque per ragioni prettamente professionali. Avrebbero preferito essere al caldo, nei loro letti, come noi nella notte di Natale, ma nella Bibbia non ci sono cani da pastore, così i pastori si accollano il lavoro notturno, un lavoro da cani!

Nomadi per natura come i Magi per cultura; nomadi non per contingenza, come Maria e Giuseppe richiamati a Betlemme da un censimento imperiale. Sono loro, i pastori, i primi destinatari della buona novella, e anche dell’invocazione che trent’anni dopo Gesù non mancherà di riprendere: “non abbiate paura“! Sì, perché le buone notizie, good news, allora come oggi fanno paura. Siamo talmente attrezzati per le cattive!

Ed ecco che all’angelo si aggiunge un’armata celeste, così i lettori, gli ascoltatori – i radioascoltatori che siamo oggi -, si ritrovano sospesi tra due moltitudini: quella celeste, gli angeli, e quella terrestre, i pastori. Moltitudini correlate dall’annuncio salvifico, salutare, della nascita di Gesù. La scena ci illustra per la prima volta la connessione ripresa da Gesù stesso nel “Padre nostro” con la formula “così in cielo come in terra”.

Eccoli i primi testimoni della gloria e della grazia di Dio per gli uomini, dice il nostro Vangelo, gli uomini in cui si compiace. Il loro prototipo sono gli assonnati, ignari pastori sottostanti, con tanto di gregge rattrappito dal freddo in attesa dell’alba. Ma c’è un problema, un grosso problema: Dio ha prescelto, ha eletto come primi testimoni della cristianità nascente, pastori che non avrebbero potuto testimoniare in alcun tribunale rabbinico.

All’epoca i pastori erano considerati a priori latori di false testimonianze, e se non false, dubbie. Incolti, spesso analfabeti, erano accusati dalla nomea popolare di rubarsi le pecore a vicenda, e in effetti lo facevano regolarmente. Bugiardi professionali! E poi, con la scusa delle pecore, non andavano nemmeno a messa o al culto … pardon, alla sinagoga!

Ma chi sono questi benedetti pastori, finora innominati. Be’, adesso possiamo azzardare un nome: questi pastori … sei tu, sono io, siamo noi, siete voi. Dio non chiama i qualificati, qualifica i chiamati! Ed ha cominciato da subito, dalla notte di Natale, privilegiando non gli stinchi di santo, non i pastorelli da presepe, ma umani che cercano riparo e quiete in una notte disagevole, aspettando spesso a loro insaputa – perché non sanno più sperare – una parola, una luce, una voce che li liberi da all’asservimento di un’oscura routine. Sono loro, come noi, al fianco di Maria, Giuseppe e Gesù. Sì, siamo noi, stamane, il presepe vivente, chiamati a testimoniare perché infine degni di fede, benché indegni; chiamati a essere, per grazia di Dio, quello che non sapevamo e non speravamo di poter essere. Buon Natale!

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Enrico Benedetto

Confessiamo la fede cristiana con le parole dei suoi primi testimoni. Con Giovanni Battista “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”. Con Andrea: “Abbiamo trovato il messia”. Con Natanaele: “Maestro, tu sei il figlio di Dio, il re d’Israele”. Con i samaritani, gli eretici: “Sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”. Con Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Con Marta: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Con Tommaso, l’apostolo del dubbio: “Mio Signore e mio Dio”. Le loro parole, affidate all’eternità, abitino i nostri cuori e si uniscano alle nostre nell’annunciare grazia, pace e salvezza a ognuno. Perché Gesù, dirà Pietro a Pentecoste, è venuto per benedire l’umanità. Riceviamola oggi, domani e sempre questa benedizione, scenda su di noi come rugiada del monte Ermon. Amen