Pentecostali, Napolitano: “Sviluppare una religione della libertà”

Terza puntata dello speciale NEV per riprendere i temi del convegno “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie”, recentemente tenutosi a Roma. Intervista al presidente della Federazione delle chiese pentecostali (FCP), pastore Carmine Napolitano

Un dettaglio dalla copertina del libro "I pentecostali in Italia. Letture, prospettive, esperienze", curato da Carmine Napolitano per le edizioni Claudiana - https://www.claudiana.it/scheda-libro/autori-vari/i-pentecostali-in-italia-9788868983079-2212.html

Roma (NEV), 6 marzo 2023 – Terza puntata dello Speciale libertà religiosa dell’Agenzia NEV, per riprendere i temi del convegno “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie” recentemente tenutosi a Roma. Il convegno è stato promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, dalla Rivista e Centro Studi Confronti, dalla Biblioteca Centrale Giuridica, dalla rivista Questione Giustizia e dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

Dopo le prime interviste a Paolo Naso e a Ilaria Valenzi, è la volta del presidente della Federazione delle chiese pentecostali (FCP), pastore Carmine Napolitano.

Nel convegno “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie”, recentemente tenutosi a Roma, si è parlato di libertà religiosa come questione culturale. Cosa ne pensa?

Credo che la libertà religiosa in Italia sia sempre stata innanzitutto una questione culturale. Nel nostro Paese si fa un gran fatica ad immaginare forme di cultura e pratica religiosa diverse da quella della maggioranza e anche quando se ne prende atto la confessione religiosa di maggioranza viene considerata come parametro di valutazione persino giuridica delle altre confessioni religiose. Il convegno ha evidenziato come sia complicato a tutti i livelli attirare l’attenzione politica e culturale sul pluralismo religioso che ormai costituisce un dato di fatto vissuto quotidianamente in diversi contesti, come ad esempio la scuola; e questo favorisce un grave ritardo anche sulla applicazione normativa legata al diritto di libertà religiosa nonostante il dettato costituzionale ampio e chiaro.

Mass media e accademie rischiano di dipingere i fenomeni religiosi in modo superficiale o astratto, o comunque lontano dalla realtà? Perché, secondo lei?

Esattamente per le ragioni di cui si diceva. Il ritardo culturale nella comprensione e nella legittimazione della diversità religiosa produce disinteresse e strabismi nella lettura del pluralismo religioso. Pensi che in un articolo scientifico di un anno fa su una rinomata rivista giuridica mi è capitato di leggere che Lutero era un’eresiarca! E in un manuale di storia moderna di leggere che il principio del cuius regio eius et religio sancito con la pace di Augusta nel 1555 sia da considerare il primo atto giuridico di libertà religiosa dell’Europa moderna. Se nelle università dove si formano le classi dirigenti passano questi messaggi, cosa vogliamo sperare che poi dicano gli studenti che hanno ascoltato queste cose quando diventano operatori dei mass media o divulgatori scientifici e culturali? Insomma, manca spesso un approccio serio e qualificato alla lettura del pluralismo religioso e si finisce a parlarne per sentito dire, per slogan e usando una terminologia vetusta e offensiva.

Quante comunità rappresenta la Federazione delle chiese pentecostali?

Le comunità locali che a vario titolo sono collegate con la Federazione al momento sono oltre 400; molte di queste sono inquadrate in reti nazionali e alcune di queste reti hanno anche riconoscimenti giuridici. Ma la Federazione rappresenta solo una parte del mondo pentecostale in Italia, che è ben più ampio e si calcola che ad esso aderiscano all’incirca 500.000 persone, se si tiene conto anche delle comunità formate da immigrati.

Che tipo di difficoltà incontrano le Chiese pentecostali nel professare la loro fede, dal punto di vista giuridico e pratico?

In Italia è sempre esistito un ‘caso pentecostale’ quando si è trattato di misurare lo spessore o il progresso della libertà religiosa. I pentecostali sono stati un ‘caso’ quando si sono dovuti confrontare con il regime fascista in una lotta impari e solitaria; lo sono stati quando nel dopoguerra hanno dovuto subire discriminazioni dai primi governi repubblicani fornendo molto materiale per la battaglia relativa alla libertà religiosa che in quegli anni si combatteva sui mass media, nei tribunali e nel Parlamento; lo sono oggi perché non riescono a veder riconosciuta la loro pluralità e diversità. Insomma, si fa fatica a capire la loro molteplice articolazione Se si considera la vastità del movimento, la sua diffusione in tutto il mondo e la pluralità di esperienze ecclesiali pregresse che confluirono al suo interno data la sua trasversalità quale movimento di risveglio, si capisce che esso si configuri come una mondo variegato di gruppi, organizzazioni e soggetti ecclesiali che hanno dato vita ad uno specifico denominazionalismo pentecostale; all’interno di questo mondo vi sono riferimenti culturali e teologici omogenei, ma anche posizioni a volte marcatamente diverse l’una dall’altra. E tutto ciò non è superato dal fatto che alcune organizzazioni pentecostali hanno raggiunto riconoscimenti giuridici anche di altro profilo; perché ce ne sono tante altre in attesa.

Cosa suggerirebbe alla politica per ampliare l’orizzonte della libertà religiosa in Italia, soprattutto a fronte di quello che Paolo Naso chiama il “politichese” dei “tempi che non sono maturi” e delle “altre priorità”?

Concordo pienamente con l’analisi di Paolo Naso; la politica è terribilmente in ritardo rispetto alle sfide e alle istanze poste dal pluralismo religioso in questa Paese sia sul versante quantitativo (ormai siamo al 10% della popolazione che professa una fede religiosa diversa da quella della maggioranza), sia sul versante qualitativo visto che proprio una recente ricerca condotta da Naso insieme ad altri in Lombardia sul rapporto tra immigrazione e luoghi di culto conduce a considerare le comunità religiose un capitale sociale. Ma l’impreparazione della politica di fronte a questi mutamenti è disarmante; è necessario mettere mano in modo urgente ad una legge sulla libertà religiosa che sia capace di realizzare in modo adeguato i principi costituzionali in materia. Da oltre trent’anni, però, questo auspicio non trova concretizzazione. Io credo che per creare una norma si debba rifarsi ad un principio e per avere un principio bisogna rifarsi ad un valore; in altri termini: una legge sulla libertà religiosa richiede che si creda nel diritto alla libertà religiosa e questo diritto deve essere fondato nella concezione della libertà come valore. Insomma, la libertà religiosa può essere veramente pensata e realizzata solo in una società e in una cultura che sappiano sviluppare una religione della libertà.

Consulta tutti gli approfondimenti dello Speciale libertà religiosa.