Roma (NEV), 21 febbraio 2017 – “Quando ho visto in internet l’accenno a questa legge, mi sono messa a verificarla perché mi sembrava talmente assurda e razzista, che non potevo credere fosse vera”. Comincia così la lettera che Ulrike Jourdan, pastora della chiesa metodista di Padova, ha indirizzato al “Mattino di Padova” dopo aver appreso delle modifiche che il consiglio regionale del Veneto ha apportato alla legge regionale n. 32 1990 che regolamenta i servizi educativi alla prima infanzia. Secondo la nuova legge, le graduatorie per l’ammissione ai pubblici asili nido della regione privilegeranno “i figli di genitori residenti in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni”.
“Si tratta di una norma palesemente anticostituzionale, che è stata chiamata ‘anti-immigrati’ ma che colpisce gli stessi italiani di altre regioni – spiega Jourdan all’Agenzia NEV – immaginiamo una famiglia che dal Trentino si trasferisce in Veneto per lavoro, magari temporaneamente; seguendo la ratio di questa norma i componenti di queste famiglie hanno meno diritti, sono cittadini di seconda classe”.
L’eco mediatico di questa norma è stato sinora abbastanza limitato. A spingere la pastora a prendere carta e penna è stato appunto il silenzio constatato sui giornali locali: “In Italia il pubblico dibattito è così, allarmista ma poco vigile”. Sempre secondo Jourdan la scarsa attenzione dedicata al carattere discriminatorio del provvedimento deriverebbe anche dal fatto che in Veneto l’80% degli asili nido sono garantiti da scuole paritarie. “E’ evidente che per me che sono evangelica – specifica la pastora – questo dato non costituisce un’attenuante, pone al contrario un ulteriore problema, perché ritengo che un’educazione laica dovrebbe essere garantita a tutti, soprattutto a chi professa una fede minoritaria”.
Nella lettera indirizzata al “Mattino di Padova”, Jourdan non ha però rinunciato ad analizzare i fatti anche a partire dal proprio ruolo di pastora, evidenziando come la concezione “del sangue e del suolo” che culturalmente giustifica il provvedimento della regione ponga un problema anche alla coscienza di chi si professa cristiano. “Il grande riformatore Martin Lutero ha definito questa mentalità ‘dell’IO’ come il peccato in sé. Ha utilizzato l’immagine di un uomo incurvato in se stesso. Uno che guarda il proprio ombelico, che vede solo il proprio volere, i propri bisogni, il proprio ego. E Lutero dice: ‘Questo è il peccato se non siamo più in grado di alzare la testa per vedere Dio e il nostro prossimo’. Penso che proprio in Veneto, dove si afferma di essere profondamente radicati nel Cristianesimo dovremmo cercare di riscoprire che cosa voglia dire essere cristiani non solo con le parole ma anche con i fatti”.