Il nuovo Ponte di Genova. Una riflessione protestante nel giorno dell’inaugurazione

Il 14 agosto 2018 morivano a causa del crollo 43 persone. Dopo quasi due anni, e molte polemiche, vede la luce il viadotto "Genova San Giorgio", firmato dall'archistar Renzo Piano

Il nuovo ponte, dalla pagina fb della Regione Liguria

Roma (NEV), 3 agosto 2020  A quasi due anni dal crollo del Ponte Morandi, nel quale morirono 43 persone, oggi alle 18.30 sarà ufficialmente inaugurato il nuovo viadotto che ha sostituito la struttura genovese. L’opera, progettata dall’architetto Renzo Piano, si chiama “Genova San Giorgio” e sarà aperta al traffico da dopodomani, mercoledì 5 agosto.

La pastora metodista Giovanna Vernarecci

Giovanna Vernarecci, genovese, avvocato, è la pastora metodista dal 2006 della chiesa ispano-americana del capoluogo ligure, che conta circa 150 persone e condivide gli spazi nel tempio della chiesa valdese cittadina. Qui la comunità valdese esiste da 150 anni e conta circa 500 fedeli. “Sono stati due anni molto tristi e complicati – dichiara – . Dopo la tragedia e il lutto, l’impatto del crollo è stato devastante. Tutta la città ne ha risentito. Anche l’indotto e le attività economiche del territorio che era collegato dal ponte hanno subito conseguenze pesanti. D’altro canto la nostra città è da sempre caratterizzata da una forte volontà di riprendersi, siamo una città che ne ha viste e ne vede tante e che ogni volta riesce a rialzarsi. E di questo oggi siamo fieri”.

Per quanto riguarda la partita dei contributi ai cittadini sfollati, che hanno dovuto lasciare le loro case, “sono molto perplessa perché gli aiuti arrivano ma al di là di questo occorre rispettare e garantire condizioni di vita dignitose. I risarcimenti ci sono stati, ad esempio, ma penso che servano anche altri interventi per un pieno riconoscimento della dignità dei cittadini. Non solo sottoscrizioni, insomma, quanto il diritto a ricominciare a vivere bene”.

Tante le polemiche, in questi due anni, sul ruolo di Autostrade per l’Italia (Aspi) a tutt’oggi controllata da Atlantia di cui i Benetton sono azionisti di riferimento. Oltre a questo, anche il dibattito sulla necessità di messa in sicurezza delle infrastrutture e del territorio, da una parte, e di ripensare le città in chiave più sostenibile. “Genova andava ripensata probabilmente ben prima del crollo del ponte – aggiunge la pastora – anche per implementare il trasporto pubblico, ad esempio”.

Sul fronte giudiziario legato alle inchieste in corso, “da avvocato riconosco che purtroppo i processi sono lenti. Mi auguro che, se sarà riconosciuta una responsabilità, vi sarà la conseguente scelta politica. Come per qualsiasi cittadino che se commette un errore è chiamato a rispondere della sua azione, lo stesso valga per chi sarà riconosciuto responsabile del crollo e della gestione inefficiente del Ponte Morandi. Un ponte che faceva paura a tutti, a Genova. Ho fiducia nella magistratura”.

Dopo il crollo dell’agosto di due anni fa, anche le comunità protestanti diedero il loro contributo. La Chiesa luterana del capoluogo ligure finanziò l’acquisto di una vettura attrezzata per il trasporto di malati e disabili mettendola a disposizione della Croce Rossa di Genova per garantire agli abitanti dei quartieri a ridosso del ponte Morandi di raggiungere senza troppi inconvenienti gli ospedali della città e gli ambulatori per effettuare visite e cure.

L’inaugurazione con le istituzioni (ma senza parenti delle vittime)

E gli abitanti di Genova, in particolare quelli che fanno parte del Comitato ricordo vittime ponte Morandi, oggi hanno scelto di non essere presenti alla cerimonia ufficiale. Ma incontreranno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in forma privata.

“Non c’è nulla da celebrare”: questo hanno scritto inoltre 75 vigili del fuoco liguri, due giorni fa, in una lettera al Comitato parenti delle vittime del ponte Morandi. “Esprimiamo la nostra solidarietà e condividiamo la vostra scelta di non partecipare alla cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte”, hanno scritto in questa missiva, “Ciò che si apprestano a celebrare – in pieno spirito di unità nazionale – non è solo la ricostruzione di un ponte indegnamente crollato ma è il cosiddetto “modello Genova” che vogliono estendere a tutta Italia con la scusa della crisi economica, cioè la costruzione di grandi opere infrastrutturali con ancora meno controlli, causa stessa dei disastri”.

“Chi cederà quote della società non abbia un vantaggio economico enorme” ha dichiarato poi questa mattina Egle Possetti, presidente del Comitato – . È una giornata difficile per tutti noi. Poteva essere fatto tutto prima che i nostri cari perdessero la vita. Per noi è molto angosciante questa giornata”.

L’inizio ufficiale della cerimonia, alla quale prenderà parte anche il premier Giuseppe Conte, sarà segnato dall’inno nazionale e da 3 minuti di silenzio durante i quali verranno letti i nomi delle vittime. La cerimonia sarà poi conclusa dal passaggio delle Frecce Tricolori.

Costruttori di ponti

Ma quale lezione si può apprendere, quale potrebbe essere – al di là della cronaca – una “morale” di questa triste vicenda? A livello più simbolico, quando cade un ponte, un collegamento viene spezzato. Oltre al dolore per i morti, ai feriti, agli sfollati, Genova è stata “interrotta”, come dire. E il ponte è un’idea centrale del cristianesimo. Come disse proprio in quei giorni tragici nella rubrica radiofonica Culto evangelico su Rai Radio 1, il pastore Luca Baratto “ogni cristiano e anche ogni cittadino deve essere un pontefice, cioè un costruttore e un custode di ponti, permettere alle persone di muoversi e incontrarsi in pace. A tutti i genovesi auguro di essere costruttori di ponti”.

 

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