Covid-19. Alessandra Trotta: Parole e opere di speranza

La Tavola valdese ha destinato la prima parte degli 8 milioni di euro dei fondi dell’Otto per mille per l’emergenza Covid-19. Intervista alla moderatora Alessandra Trotta di Alberto Corsani, direttore di Riforma

Roma (NEV/Riforma.it), 27 aprile 2020 – Pubblichiamol’intervista integrale del direttore di Riforma Alberto Corsani alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese


La Tavola valdese ha comunicato il 19 marzo scorso di intervenire con 8 milioni di fondi Otto per mille
per contribuire a gestire l’emergenza Coronavirus nel nostro Paese. Una decisione tempestiva, ma con la consapevolezza di guardare oltre: considerando cioè le conseguenze economiche, psicologiche e sociali della pandemia, intuibili già a marzo, e che oggi vediamo confermate. Come si articolava dunque questo duplice intendimento? Lo chiediamo alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese.

In effetti abbiamo pensato a un piano in due tempi: un primo tempo con interventi a supporto dell’impegno di diagnosi, cura e contenimento del contagio da parte del sistema sanitario, con un’attenzione rivolta non solo agli ospedali e alle regioni più colpite, ma anche a quei servizi di medicina territoriale e di prossimità che, molto indeboliti negli ultimi anni dalle scelte compiute nella gestione della sanità pubblica, mostrano in questo momento di avere un’importanza fondamentale nella prevenzione dei rischi e nella garanzia di adeguatezza di cura per tutti. Seguirà un secondo piano di interventi che sarà orientato a contribuire, con qualche misura più sistematica, alla ripresa sociale ed economica del Paese, a partire dai bisogni delle fasce della popolazione più esposte a subire le conseguenze devastanti dei provvedimenti assunti per fronteggiare questa emergenza. Ci tengo a precisare che, accanto a questi interventi straordinari, proseguirà l’ordinario supporto al prezioso impegno sociale ed assistenziale portato avanti dai tantissimi enti del Terzo settore (673 nel 2019) che ogni anno accedono con i loro progetti a un finanziamento dell’otto per mille assegnato alle nostre chiese.

Possiamo vedere nel dettaglio a chi si indirizza l’intervento della prima fase?

Questa parte dell’intervento ha raggiunto innanzitutto gli ospedali di Bergamo e Brescia, città fra le più colpite, finanziando l’acquisito di importanti attrezzature, ma anche, a Bergamo, l’intervento di personale specializzato per la gestione di nuovi posti letto di terapia intensiva. Sono state raggiunte anche le Marche, supportando un intervento di sostegno nell’ospedale di Pesaro e in varie RSA e la formazione di personale medico e paramedico da impegnare nelle cure domiciliari in varie città. Sono state messe a disposizione delle risorse, ancora, per gli Ospedali evangelici di Genova e di Napoli, che hanno dovuto profondamente modificare la propria organizzazione per concorrere alle necessità dei sistemi sanitari ligure e campano di fronte all’emergenza. Un’altra parte degli interventi già attuati ha raggiunto, poi, le campagne del Foggiano e le periferie di Roma, attraverso l’attivazione di cliniche mobili attrezzate per la prevenzione del rischio presso fasce di popolazione che vivono in condizione di particolare fragilità. Restano da attuare due interventi: un contributo a un’importante azione istituzionale in fase di definizione in Calabria, con l’attivo coinvolgimento della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), per il superamento del grave fattore di rischio rappresentato dalle baraccopoli sorte intorno alle campagne della Piana di Gioia Tauro. E infine un intervento in Piemonte, in particolare nelle zone di Pinerolo e delle valli Germanasca, Chisone e Pellice, in cui la storica, significativa presenza delle nostre chiese ci fa sentire particolarmente responsabilizzati, ma anche capaci di offrire un’operatività che possa contribuire allo sviluppo della medicina territoriale e della domiciliarità con una presa in carico globale dei malati e delle loro famiglie in ambienti non ospedalieri.

Nel comunicato con cui la Tavola valdese ha illustrato la prima parte del piano di interventi per l’emergenza Covid si trovano effettivamente indicati molteplici livelli, fra questi anche il riferimento al sostegno alle chiese locali, per quella dimensione comunitaria che è un altro aspetto della diaconia stessa. Come mai ?

Questa domanda mi offre l’opportunità di precisare la centralità del ruolo delle nostre chiese locali anche in questo frangente. Le chiese valdesi e metodiste nel nostro Paese sono spesso conosciute soprattutto per alcuni pronunciamenti pubblici su grandi temi sociali o etici, per azioni umanitarie di grande visibilità come i corridoi umanitari o per gli interventi della nostra diaconia più istituzionale e organizzata in Centri conosciuti e apprezzati al livello locale o nazionale. Ma senza le piccole chiese locali, formate da membri di chiesa attivamente e appassionatamente impegnati nella predicazione dell’Evangelo e nell’alimentare una vita comunitaria nella quale trovi radicamento un cammino di fede che si esprime anche nella costruzione, alla luce dell’Evangelo, di relazioni umane radicalmente alternative, non vi sarebbero quelle Istituzioni sociali o assistenziali, non vi sarebbero quelle azioni di denuncia sociale, di promozione dei diritti, di lotta per la giustizia, che portiamo avanti perché vi riconosciamo una coerente espressione del compito di annuncio evangelico che la Chiesa è chiamata ad assolvere. In questa emergenza, abbiamo fiducia che le nostre chiese locali sapranno assolvere, con ulteriori interventi diretti per i quali la Tavola metterà a disposizione delle risorse raddoppiate, un compito di supporto a coloro che, intorno a loro, dentro o fuori le chiese, già vivono la marginalità o che, per il Covid-19, hanno ridotto o perso il lavoro e non possono più pensare con serenità a una tranquilla vita quotidiana.

Questo rilevante intervento da parte della Tavola valdese è anche espressione di una consapevolezza spirituale ed è di fatto anche una testimonianza: che cosa muove i e le credenti a rendersi disponibili a fianco ai loro concittadini e quale può essere il messaggio di speranza che i protestanti possono portare anche in questo momento che non è solo di emergenza sanitaria ma anche di disorientamento degli individui?

Le nostre chiese da sempre interpretano la fede cristiana come fiducia di essere parte di un piano di Dio per l’intera sua creazione – un piano di vita piena, buona e abbondante per tutti – che chiama ogni singolo individuo, riconosciuto e valorizzato nella sua unicità, dignità e libertà, a mettere a frutto i suoi talenti al servizio del bene comune. Come credenti che vivono così la loro fede, siamo sfidati a vivere questo tempo, dominato dal senso di precarietà e dal disorientamento di fronte a un mondo che sembra crollare nelle sue certezze, nel suo profondo significato spirituale, ponendoci all’ascolto di ciò che il Signore ci sta dicendo, cercando di leggere i segni dei tempi e reagendo in coerenza con l’Evangelo. Pensiamo a come questa situazione sta interrogando le categorie, anche biblicamente molto dense, di vicinanza/distanza, aperto/chiuso, schiavo/libero, solo/insieme. Sarebbe grave coltivare l’illusione di tornare, anche come chiese, alla normalità di prima, senza cogliere l’opportunità unica di una ricostruzione nella direzione della solidarietà sociale, della sostenibilità ambientale, della riduzione delle diseguaglianze, nell’accesso ai beni essenziali come la salute, l’educazione, la casa, di un sistema di organizzazione del lavoro che si concili meglio con le esigenza di cura familiare e del riposo. Invochiamo tutti, dunque, l’aiuto del Signore per crescere nella capacità di vivere come comunità evangeliche, contagiatrici, in parole ed opere, di una speranza viva di conversione e rinascita.