Munib Younan scrive a Trump: “Sono io stesso un rifugiato”

In una lettera aperta indirizzata a Donald Trump, il presidente della Federazione luterana mondiale ha ricordato che per i cristiani "accogliere lo straniero non è un'opzione"

Munib Younan

Roma (NEV), 2 febbraio 2017 – “Le scrivo dalla Santa città di Gerusalemme in uno spirito di preghiera. Prego perché la sua presidenza sia fruttuosa. Prego affinché sotto la sua guida gli Stati Uniti d’America continuino a sostenere i propri valori, consacrati da tempo alla diversità, all’uguaglianza, alla ricerca della felicità, alla libertà e alla giustizia per tutti”. Comincia così, con una preghiera, la lettera aperta che Munib Younan, vescovo della Chiesa evangelica luterana di Giordania e Terra Santa, nonché presidente della Federazione luterana mondiale, ha indirizzato in queste ore al neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Al centro della riflessione pubblica del vescovo luterano l’atto esecutivo che dal 27 gennaio ha chiuso le frontiere degli Stati Uniti ai cittadini di 7 paesi a maggioranza musulmana. Una misura cui Younan ha voluto contrapporre la sua stessa esperienza di vita: di protestante nato a Gerusalemme, da una famiglia di profughi palestinesi.

Prima di appellarsi al presidente, Younan articola la sua apprensione di cristiano su tre punti essenziali. “Sono preoccupato, perché per quasi duecentocinquant’anni il mondo ha guardato al suo paese come a un esempio di come diverse razze e nazionalità possano possedere un’unica identità americana. Sono preoccupato, non solo per coloro che non possono più entrare nel vostro paese, ma per la sicurezza dei miei vicini in questa regione. Temo che la sua decisione di compensare il negato ingresso ai cittadini dei sette paesi a maggioranza musulmana con un trattamento preferenziale per i cristiani di quegli stessi paesi recherà danno a molte piccole comunità della regione: è un approccio che colpirà anzitutto i cristiani arabi, che hanno una lunga storia di convivenza a fianco dei nostri vicini musulmani; l’idea di dividere la società araba su linee religiose è da rigettare. Sono preoccupato – conclude Younan – perché io stesso sono un profugo, e conosco in prima persona le difficoltà che devono affrontare le famiglie di rifugiati. Allo stesso tempo, come vescovo luterano, so che il respingimento di rifugiati, di qualsiasi religione siano, contraddice il messaggio di Gesù Cristo. Gesù stesso è stato un rifugiato, con la sua famiglia cercò rifugio e sicurezza in Egitto. Per questo motivo, accogliere lo straniero per i cristiani non è un’opzione. Si tratta di uno dei nostri valori fondamentali”.

Infine, Younan pronuncia il suo appello, nella triplice veste di vescovo luterano di Gerusalemme, di rifugiato e di cittadino globale: “La esorto a riflettere sui valori fondamentali degli Stati Uniti e di Gesù, a cercare un percorso diverso che mantenga il duplice obiettivo della sicurezza e delle opportunità nella terra della libertà”.

Quella di Younan non è la prima voce religiosa che in questi giorni si è levata contro il cosiddetto “Muslim ban”. Diramata il 31 gennaio, una dichiarazione congiunta del Consiglio ecumenico delle chiese, della Federazione luterana mondiale e di Action by Churches Together International ha definito la decisione di Trump “una terribile e irresponsabile mancanza di compassione”. Sulla medesima linea era già intervenuto il Consiglio nazionale delle chiese cristiane degli Stati Uniti, per bocca del suo segretario Jim Winkler.