Roma (NEV), 25 gennaio 2020 – Le “teologie femministe” sono state il tema di una conferenza con Nesma Elsakaan e Adriana Valerio tenutasi lo scorso 23 gennaio al Centro interconfessionale per la pace (CIPAX), associazione ecumenica e interreligiosa che, peraltro, sarà presente oggi alla mobilitazione nazionale “Accendiamo la pace” a Roma. La conferenza fa parte del “Cantiere 2019-2020” dal titolo “Donne speranza di pace”.
La teologia femminista cristiana
Adriana Valerio è teologa e storica, si occupa da anni di ricerca su donne e fede e donne nella chiesa, ed è autrice di numerosissimi saggi tra cui “Donne e Chiesa. Una storia di genere”, Carocci, Roma 2016; “Il potere delle donne nella Chiesa. Giuditta, Chiara e le altre”, Laterza, Roma-Bari 2016.
La storica e teologa ha esordito citando il libro della pastora battista Elizabeth Green e di Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento teologhe italiane (CTI) “Incontri. Memorie e prospettive della teologia femminista” (San Paolo Edizioni) dove le due autrici mettono a confronto le proprie differenze confessionali e ministeriali su temi quali le gerarchie patriarcali e il linguaggio su Dio.
Valerio ha parlato inoltre di ministero delle donne e di antropologia, tracciando un affresco della storia del femminismo cristiano sia protestante sia cattolico, dove si intrecciano i movimenti delle donne, delle chiese e dell’Accademia. Si tratta, secondo Valerio, di tre ambiti vasti e complessi che si incontrano e hanno radici nel pacifismo e nel femminismo di fine ottocento come luogo di elaborazione.
Adriana Valerio ha quindi parlato dell’intreccio tra femminismi, eco-femminismo e movimenti pacifisti, facendo emergere diverse figure storiche che hanno dato un importante contributo allo sviluppo del pensiero e delle pratiche delle donne su temi sociali, scientifici, filosofici, politici e teologici: Dora (Dorette Marie) Melegari, intellettuale e scrittrice di origini valdesi che nel 1894 fondò a Roma, con Giulio Salvadori e Antonietta Giacomelli, l’Unione per il bene; Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace nel 1905; Jane Addams, premio Nobel per la pace nel 1931, e ancora Maria Montessori e Dorothy Day, solo per citarne alcune.
“Oggi le femministe si interrogano su cosa voglia dire essere chiesa e su come interpretare in modo critico il testo sacro – sostiene la storica -. Non esiste un universale maschile o femminile, esiste una dimensione particolare, da cui bisogna partire per costruire le relazioni con gli altri e con il cosmo”.
La teologia femminista islamica
Nesma Elsakaan è membro dell’Union Européenne des Arabisants et Islamisants, è ricercatrice e docente all’Università di Palermo; ha studiato la partecipazione femminile alla vita politica negli Emirati Arabi Uniti. È autrice, fra l’altro, del volume “Femminismo islamico in Egitto. Religione, donne e giustizia di genere” (Aracne editore).
La teologia femminista islamica nasce a inizio ‘900, spiega Elsakaan, con movimenti attivi nella comunità mussulmana, con lo scopo di affermare i diritti delle donne nello spazio pubblico e di modificare le proprie condizioni dall’interno. Questi movimenti vedono l’Islam come strumento di emancipazione. Le teologhe femministe, pur con le loro differenze, intendono così “penetrare lo spazio religioso dominato dagli uomini, sanzionare le forme di discriminazione ed elaborare un discorso religioso alternativo per l’uguaglianza di genere”.
La studiosa ha tracciato un affresco del femminismo islamico in diversi paesi, fra cui Stati Uniti, Iran ed Egitto, sottolineando i principi su cui si fonda: “Al-Tawhid”, cioè l’unicità di Dio; “Al’-aal”, Dio è giusto; “Al-Taqwà”, il timore di Dio. “Se Dio è unico e al di sopra di tutte le creature, ciò significa che uomini e donne sono uguali, senza distinzioni di razza e genere – spiega ancora Elsakaan -. Chi cambia questo piano, infrange la legge dell’Islam. Interpretare i versetti coranici in modo che l’uomo risulti superiore sarebbe anche una contraddizione dell’Islam stesso e dei precetti di Dio che, appunto, si basano sulla giustizia. Quindi discriminazioni e disuguaglianze sono in contrasto con la legge islamica. Infine, il timore di Dio è l’unico elemento discriminante: noi verremo giudicati per ciò che abbiamo fatto”.
La ricercatrice ha dunque citato alcune femministe islamiche, fra cui Ziba Mir-Hosseini, antropologa e attivista legale per la per giustizia di genere che vuole modificare le leggi basate sulla “Sharìa”, come quelle sul matrimonio e sul divorzio, a partire da un confronto sulla giurisprudenza islamica con i giuristi, e Amina Wadud, la donna imam, la quale ha riletto il Corano alla ricerca della sua identità femminile.

La serata è stata moderata dalla redattrice dell’Agenzia stampa NEV, Elena Ribet, che è intervenuta accennando al ruolo dei monoteismi e delle religioni tradizionali e indigene. “La violenza patriarcale nella storia ha sempre più escluso le donne dalla leadership nelle società e nelle religioni, relegando ad esempio lo sciamanesimo femminile e i movimenti spirituali alla marginalità” ha dichiarato. Citando l’archeologa Maria Gimbutas, Ribet ha ricordato come la cosiddetta “civiltà della Dea” dell’Europa antica, pacifica, egualitaria ed evoluta nei settori della ceramica, della tessitura, dell’agricoltura, della metallurgia e del commercio, venne quasi spazzata via dai Kurgan, o proto-indoeuropei o Yamna, che tra il VI e il III millennio a.C. si abbatterono in Europa e poi nel Caucaso e in India portando guerra e devastazione. Secondo Gimbutas, “Lo scontro fra queste due ideologie e strutture socio-economiche porta a una drastica trasformazione dell’antica Europa. I cambiamenti si esprimono come transizione dall’ordine matrilineare a quello patrilineare, da teacrazia dotta a patriarcato militante, da società sessualmente equilibrata a gerarchia dominata dal maschio, da religione della Dea ctonia a pantheon maschile indoeuropeo orientato verso il cielo”.
Infine, nell’evidenziare come anche il linguaggio influisca sulla costruzione del pensiero, nell’immaginario collettivo e nelle gerarchie di potere, ha citato la pastora battista Silvia Rapisarda, secondo la quale: “In principio era la hokmah: la sapienza, la saggezza. Poi ci siamo piegati/e al greco e divenne il logos: la parola, il discorso, la ragione. Poi ci siamo piegati/e al latino e divenne: il verbo. In principio era la ruah: potenza vitale. Poi ci siamo piegati/e al latino e divenne: lo spirito. In principio era Shaddai: Dio dei seni. Poi ci siamo piegati/e al greco e al latino e divenne: l’onnipotente”.
Hanno partecipato alla conferenza, fra gli altri, il vice presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI), pastore Giuseppe Miglio, e Francesca Koch, già presidente della Casa Internazionale delle donne di Roma.
Il Cantiere di pace del Cipax è realizzato anche grazie al contributo dell’Otto per mille valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi.