Roma (NEV), 14 dicembre 2020 – Stefano Frache è tra i fondatori di una società di sviluppo software e apparecchiature elettroniche, con un dottorato in Elettronica e Telecomunicazioni a Torino e Losanna. La Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in italiane (FCEI), lo ha scelto come consulente per partecipare, lo scorso 1° dicembre, al webinar su “Lo spostamento digitale del lavoro e della vita“. Organizzato dalla rete “Church Action on Labour and Life” (CALL – Azione delle chiese per il lavoro e la vita / Rete cristiana europea per il lavoro e l’economia), l’incontro è nato per riflettere sul tema del benessere nelle società digitalizzate e nei luoghi di lavoro.
“Il mio principale impegno lavorativo attualmente consiste nel gestire una società, Dynamix Italia, che si occupa di ricerca e sviluppo in campo hardware e software – ha detto Stefano Frache all’agenzia NEV –. Oltre al ruolo direzionale, ho molti compiti operativi, per cui sono felicemente coinvolto in prima persona su diversi aspetti dei progetti che sviluppiamo. Dal 2012 l’azienda ha erogato servizi digitali per il mondo della cultura, tanto per gli aspetti di digitalizzazione dei patrimoni culturali, quanto per modelli di rappresentazione e strumenti per la produzione, gestione e restituzione agli utenti di contenuti culturali attraverso il digitale”.
L’Agenzia NEV ha intervistato Stefano Frache sul tema della digitalizzazione e di come essa stia cambiando la ricerca, lo sviluppo e la produzione, ma anche la vita e la stessa società, con uno sguardo all’etica, all’economia e alla fede.
Quali tematiche ha approfondito nel seminario sullo spostamento digitale del lavoro e della vita?
Ho cercato di portare un punto di vista che si scostasse dall’ottica del consumatore di prodotti e servizi digitali, esperienza che tutti, chi più chi meno, di questi tempi sperimentano nella vita privata, come nel lavoro. L’idea era di offrire degli spunti di riflessione a chiunque ne fosse potenzialmente interessato, anche e soprattutto se di formazione non tecnica. Uno dei temi principali è stato il rapporto tra scienza e tecnica e come questo si ritrovi o meno nei prodotti di consumo. Sono state proposte delle considerazioni anche sulle fonti di informazione, molto diverse tra professionisti e utenti, non solo per i neofiti tra questi, ma sovente anche per i cosiddetti «smanettoni». E poi le diverse percezioni della realtà che ne conseguono, per come viene compresa in qualità di consumatori e come viene rappresentata attraverso i media. Sono molte le tematiche profonde potenzialmente sollevate dal tema ed è rischioso affrontarne troppe in un tempo limitato, ma allo stesso tempo una panoramica è utile per rendersi conto della pervasività della questione.
Secondo lei, la fede incide nell’approccio dei credenti nelle loro professioni e nelle loro scelte quotidiane?
La domanda è estremamente complessa, dunque trovo arduo dare una risposta semplice. Almeno in un primo momento, ipotizziamo di sottrarre al discorso i doveri che i professionisti hanno verso la società nello svolgere la propria professione e che sono regolamentati come tali, perché potenzialmente possono cadere in contrasto, se non addirittura in contraddizione, con la fede del singolo. Credo, in questo caso, che là dove ci sia un credente non possa che esserci un riflesso nelle sue scelte quotidiane, nelle sue azioni e dunque anche nell’ambito professionale. Non resterebbe altrimenti che uno spazio estremamente compresso per la fede nella vita di un credente. Molto delicato resta il rapporto con la professione, perché evidentemente soggetto a responsabilità del singolo verso la collettività, in uno spazio dove ci si dovrebbe conformare al principio di laicità. Questo apre immediatamente un ampio dibattito sulla laicità… che sarebbe interessante, ma porterebbe lontano.
Che ruolo hanno o dovrebbero avere le chiese rispetto all’innovazione e/o allo sviluppo tecnologico nella società?
Credo che le chiese debbano essere in grado di portare il loro messaggio in ogni tempo. Questo richiede di capire il proprio tempo, per quanto possa essere faticoso in presenza di cambiamenti repentini. Quello che viene bruciato rapidamente oggi è soprattutto tecnologia, che irrompe nel quotidiano. Invece, la conoscenza che ha permesso quella tecnologia resta spesso molto a lungo, benché sovente ai margini. La questione culturale è di capitale importanza: spesso questa viene trascurata perché considerata elitaria, invece è spaventosamente democratica, riguarda intimamente tutti e ciascuno. Possiamo fare un esperimento concettuale. Immaginiamo di metterci adesso in viaggio lungo la strada dello sviluppo verso il punto più avanzato delle conoscenze umane attuali, per esempio in un settore scientifico. Potremmo dunque constatare come molti laureati siano indietro di oltre cento anni rispetto al traguardo. Le persone in generale, senza conoscenze specialistiche, sono anche tre secoli indietro, tempo in cui venivano compresi elementi di base, fondamentali per capire il mondo di oggi.
C’è dunque molta conoscenza che fatica a trovare posto nel mondo, di conseguenza anche nelle chiese. Certamente non perché quelle informazioni non servano, come spesso si sente dire: difficile capire l’utilità di qualcosa di ignoto. Non è un bene, per dire, neppure in campo sanitario, come abbiamo tristemente imparato in questo anno. Il discorso è molto più ampio e assolutamente non limitato alla tecnologia. La società spesso non si divide sulle questioni opinabili, l’enorme problema viene dalla negazione dei fatti. Bisogna invece saperli riconoscere.
Che collegamento c’è, a suo modo di vedere, fra economia ed etica?
Il collegamento tra economia ed etica è multiforme a mio modo di vedere. Ci sono molti aspetti ampiamente dibattuti, con casi a volte talmente esasperati nelle cronache, da rendere impossibile non accorgersi dei rischi per le persone. Ritornerei invece su un punto, meno eclatante, ma che ho sfiorato nel webinar per la coerenza con il tema trattato e mi sembra appropriato limitarmi a questo.
In generale, c’è una correlazione tra la qualità di un prodotto e il prezzo che viene pagato in caso di acquisto, ed è bene che ci sia! Vorrei però che si evitasse il cortocircuito: non sto abbordando il tema del lusso, dove chi può è assolutamente disposto all’esborso e difficilmente ignaro.
Mi sto riferendo, invece, agli interrogativi etici che sorgono, in particolare nei settori tecnici, quando la razionalità lascia volutamente il posto al soggettivismo. Quando i fatti non contano più, si rompe la pur preziosa correlazione tra costo e valore di un prodotto o servizio. Non si discute dunque di scelte né di gusti, né di disponibilità economiche. È una questione etica se sia corretto o meno cavalcare il soggettivismo dilagante per trarne profitto. È un meccanismo che emerge ogni volta che si finge di dimenticare in che direzione si progredisce, almeno sul piano tecnico. Per questo si lega ai temi sopra esposti: non conoscere espone a rischi per i quali non vi è neppure la tutela di meccanismi di pensiero collaudati in passato, tuttavia non sempre applicabili all’oggi.